Tra leggenda e mito, in un viaggio senza meta e senza tempo, Fiore abbandona giovanissimo gli affetti famigliari allo scopo di assaporare il gusto aspro della vita e il piacere ardito della scoperta. Pensatore e viandante, si inoltra nella contemplazione, risponde agli interrogativi nebulosi della coscienza, nutre l’anima e indaga in profondità i meandri più remoti dell’esistenza umana. Un’avventura dello spirito, un disvelamento dell’origine: l’ascesi come esplorazione di sé e dell’eterno, del principio e del divenire. Per conoscere e riconoscere, per reagire al depauperamento morale, etico cui la nostra epoca ci ha costretto. Marcello Veneziani -intellettuale di spicco del panorama italiano, giornalista e scrittore- illustra chi è davvero il protagonista del suo ultimo romanzo, “La leggenda di Fiore” (Marsilio Editori), spiega quale valenza assume il suo itinerario, di quale monito si carica la sua ricerca.
“La leggenda di Fiore” si presenta ab ovo come un romanzo spirituale. In particolare, cosa indica questa espressione? Quale avvertenza vuole lanciare al lettore?
“Romanzo spirituale vuol dire che non è semplicemente un racconto, ma un cammino di conoscenza e di salvezza, verso la luce, per dare un senso e un destino alla propria vita e a quella di chi vi si riconosce lungo la via. Romanzo spirituale vuol dire dunque romanzo di formazione, e non solo di narrazione, itinerario della mente in Dio o nell’Essere”.
A quale necessità ideale risponde questa scelta?
“Risponde alla necessità di dare un compimento alla propria vita tramite la vita leggendaria di Fiore, di scorgere un disegno intelligente dietro le cose che accadono e che cerchiamo di far accadere. Da tempo reputo essenziali, prioritari, decisivi questi passaggi, e tutto il resto – la politica, il confronto coi tempi e coi modi del nostro presente – come secondari e accidentali”.
In un recente articolo, ha parlato di “realismo mitico” per definire il genere del suo libro. Cosa intendeva?
“Intendevo delineare un genere letterario che parte dalla vita reale ma rivolge la prua alla trasfigurazione mitica. Nel mito è la possibilità di salvezza, nel salto di un piano, nella capacità di vedere il mondo con altri occhi e sotto altra luce, come già scrissi in opere precedenti dedicate al mito e alla ricerca spirituale (Alla luce del mito, Nostalgia degli dei)”.
Un mistico, un filosofo, un viandante. Chi è esattamente Fiore?
“Un cercatore, animato dalla nostalgia e dall’avventura. La nostalgia lo spinge a ricordare, a tornare alle origini, e l’avventura lo spinge verso l’avvenire, le esperienze future, i viaggi di conoscenza. E’ un viandante ma sogna i ritorni, è un viandante ma poi si ferma in un eremo; insomma reputa il divenire una marcia di avvicinamento all’essere”.
Qual è il senso del suo viaggio?
“Il suo viaggio è circolare, è il compimento dell’inizio nella fine, il ricongiungimento che rende se non perfette, perlomeno compiute le esistenze, indipendentemente dalla loro durata. Il senso del suo cammino è volutamente lasciato al Mistero. Il Mistero dello Spirito Santo, diremmo a Occidente, il mistero del Fiore d’Oro, direbbero a Oriente. Insomma la ricerca del punto più alto verso cui convergono le esperienze e le tradizioni religiose e metafisiche”.
Fiore dunque si rivela subito un personaggio atipico, complesso, eppure eletto a peripezie esoteriche e scoperte escatologiche. Personalità sensibile e irrequieta, le concezioni che incarna sono estranee alle logiche della modernità?
“Tutta la leggenda di Fiore si svolge al di fuori dei tempi e dei luoghi, non si riferisce mai a cose realmente accadute e a luoghi precisi, viaggia tra stati spirituali e archetipi, anche se descrive luoghi, personaggi e allude anche a storie, autori, protagonisti che a occhi attenti si svelano. Non c’è traccia di telefonini, di auto, di strumenti moderni nelle pagine della sua leggenda. Non è moderno Fiore, ma non può propriamente definirsi antico o antimoderno”.
Il giovane Fiore segue la “disciplina del Sole e dell’Acciaio”; più in là, durante una delle sue esperienze orientali, cavalca una tigre per sopravvivere alla ferocia della sua avanzata. Quale accezione simbolica hanno queste citazioni?
“Una forte valenza simbolica e allusiva, il libro è sparso di riferimenti impliciti a una serie di autori, in particolare i più controversi. Ma l’intento non è quello di divertire il lettore alla scoperta dell’autore nascosto, ma di usare opere, pensieri e figure simboliche per comporre un itinerario significativo, un cammino spirituale attraverso i labirinti e le prove iniziatiche della vita”.
Oltre a Mishima e Evola, già menzionati, sono senza dubbio numerosi i riferimenti culturali che animano il libro. Può evidenziarne alcuni? Che ruolo hanno avuto nell’impostazione del suo lavoro?
“C’è Nietzsche e c’è il suo Zarathustra, c’è Dominique Venner e c’è Ernst Junger, ci sono perfino Cesare Pavese ed Eugenio Montale in due citazioni mozze, più in fondo c’è Cristina Campo e aleggia Paul Valéry; a un certo punto è citato in un sogno che allude a Gioacchino da Fiore anche Florenskij. Per non dire dei papi e di altre figure in chiaroscuro”.
A proposito di riferimenti, quale significato ha l’incontro con Gioacchino da Fiore?
“Ha un significato decisivo, ma nell’ambito di un cammino più ampio. Alcuni hanno ridotto Fiore a paravento di Gioacchino da Fiore, e c’è chi ha ridotto Gioacchino da Fiore alla lettura eretica e postuma, marxista o mazziniana. Ma il profeta di cui qui si parla non è il fondatore metafisico del comunismo o del progressismo, tutt’altro, è il visionario che riesce a vedere oltre la storicità e perfino a sporgersi oltre il tramonto del cristianesimo, nella profezia dello Spirito Santo, che resta un mistero, come il libro di Gioacchino dedicato allo Spirito Santo, realmente sparito, che ho immaginato finito tra le mani di Fiore”.
Fiore descrive il suo pellegrinaggio in Oriente come il ritorno dall’uno allo zero, dalla solitudine dell’Io tormentato dalla pretesa dell’infinito al grembo sferico, ancestrale dell’Universo. Un ritorno all’origine, potremmo riassumere. Come si traducono questi propositi nella prassi della quotidianità?
“Non si traducono, potrei rispondere, e chiudere qui la questione. Non è un’opera che ha urgenza di calarsi nella quotidianità e nel nostro tempo. Ma vorrei aggiungere: a ben vedere sono i nodi cruciali che divorano la nostra epoca, che non permettono di andare oltre la superficie della globalizzazione e dell’uniformità planetaria sulle ali della tecnica e della finanza. L’uno è il principio generatore, l’archetipo dell’occidente e del monoteismo religioso che si è poi secolarizzato in individualismo; lo zero è invece il grembo dell’universo, l’archetipo del nirvana d’oriente e di tutte le esperienze che vanno oltre l’uno e soprattutto la molteplicità”.
Adorare Dio, amare la patria, venerare la famiglia. Sono questi i precetti di cui Fiore, agli sgoccioli della sua esistenza, si fa portavoce. Ma non sono gli stessi pilastri su cui lei ha incardinato la sua opera quarantennale? Come il cammino percorso dal protagonista, è un appello per i contemporanei a non disperdere i valori tradizionali che il materialismo utilitarista sta inesorabilmente distruggendo?
“Certo, non mi smentisco nell’opera di Fiore, anche se lui stesso riconosce che quei principi, che sono proiezioni e protezioni oltre l’io, i tempi e gli spazi globali, li ha però in qualche modo elusi, se non disertati. Perché ha abbandonato la sua famiglia, ha lasciato la sua patria, ed è andato oltre la religione delle sue origini. Ma li riconosce come punti cardinali nell’esistenza di ciascuno. Sono beni essenziali, di cui avvertiamo l’urgenza soprattutto ora che sono considerati fuori gioco, fuori tempo”.
Quanto dello scrittore e della sua storia è presente allora nella figura di Fiore?
“E’ inevitabile che molti risvolti, episodi, ritratti, facciano parte della vita di chi ha scritto l’opera. Ma non era mia intenzione scrivere un’autobiografia sotto falso nome e tutto sommato reputo uno sport poco interessante scoprire in quali punti viene fuori l’autore e la sua biografia. Avrei voluto pubblicare l’opera sotto falso nome, magari anche straniero, per depistare il lettore, sottrarre l’opera alla damnatio perché scritta da un autore “interdetto”, e per liberare lo scritto da ogni scoria residua di narcisismo… L’editore non me lo ha concesso”.
L’immagine in copertina fu donata dal compianto Franco Battiato. Quale rapporto aveva con il maestro? Tra le pagine risuonano le sue note?
“Ho detto che se questo libro avesse una colonna sonora l’attingerebbe da lui e dalla sua “mistica leggera”. E infatti dove ho presentato Fiore vestendomi con la sua tunica, i suoi sandali, il suo cappello a cono e il suo bastone, i testi letti avevano come sottofondo le musiche di Battiato. L’ho conosciuto quasi vent’anni fa, abbiamo fatto qualcosa insieme, lui venne pure a presentare un mio libro, Il segreto del viandante, con Albertazzi e Pupi Avati, io lo seguii in alcuni concerti e in un programma per la tv; c’erano consonanze spirituali e mediterranee, meridionali…”
Per concludere, “La leggenda di Fiore” è un romanzo spirituale ma, per certi aspetti, lo ha detto anche lei, assume (anche) i tratti del romanzo di formazione. Cosa può dire Fiore a un ragazzo della classe duemila?
“Può dirgli di non accontentarsi mai del presente, di esplorare l’altrove, il passato, il futuro, il mitico, l’eterno. Di connettersi ad altri mondi e altri stati spirituali, non subendo i riflessi condizionati e gli imperativi del politically correct. Di considerare che non ci sono solo i fleurs du mal, che attraggono e affliggono la nostra epoca; ci sono anche i Fiori del bene. Insomma Fiore vorrebbe che quel ragazzo dopo aver letto la sua leggenda, gli dicesse quel che Dante disse al suo maestro Brunetto Latini: “Voi mi insegnavate come l’uom s’etterna”.