Enrico De Agostini ha prestato servizio nelle ambasciate d’Italia negli Emirati Arabi Uniti, Ghana e Mozambico. È stato console a Dortmund e console generale a Johannesburg, a Monaco di Baviera e ambasciatore in Zimbabwe. Per quattro volte è stato presidente del sindacato dei diplomatici italiani (Sndmae). Dal 2023, è ambasciatore in Zambia e Malawi.
Che cosa riserva all’Italia, ambasciatore, l’Africa meridionale?
“E’ una parte relativamente pacifica del continente, senza flussi migratori importanti verso l’Italia, ed è piena di opportunità per le nostre imprese. E’ una regione piacevole climaticamente. E poi è bellissima”.
Dai suoi saggi, Diplomatico: chi è costui? (Franco Angeli) e Ri-Farnesina (MAE), apprendo che ambasciate e consolati ricevono lo 0,24% del bilancio nazionale…
“Sì. Diplomatico: chi è costui tentava – nel 2009 – di spiegare che cosa fanno, come vivono e a che cosa servono i diplomatici, per raccontare che: a) siamo umani; b) forse serviamo a qualcosa”.
Ai politici che cosa suggeriva il suo libro?
“Di investire: le ambasciate hanno spesso metà dei dipendenti delle loro concorrenti e mezzi economici inferiori”.
Veniamo a Ri-Farnesina.
“E’ un libello ‘tecnico’, con proposte di riforma (alcune ancora attuali) del Ministero, per recuperare la sua specialità. Quando i diplomatici parlano di specialità, è facile accusarli di volersi distinguere in base a un antico senso di superiorità”.
Un’amministrazione dello Stato dovrebbe avere uno statuto speciale?
“E’ un’amministrazione che opera in gran parte fuori dai confini nazionali e che si confronta anche con le regole del Paese in cui opera. Troppa burocrazia e troppe regole diminuiscono molto il valore aggiunto delle nostre sedi”.
Le sue opere non sfuggono a «Diplomatici Scrittori», blog del suo collega Stefano Baldi…
“Stefano è uno dei colleghi che stimo di più. Il suo blog è utilissimo, infatti i diplomatici scrivono e pubblicano davvero tanto. Le sue iniziative provano la vivacità culturale della diplomazia italiana. Il vero diplomatico è anche un intellettuale, che interpreta la realtà, non solo esegue istruzioni e riporta fatti. Ecco un’altra ragione della sua specialità”.
Il suo primo romanzo, Un prosciutto e dieci ducati (lo Scrittore Ed.) è stato premiato nel 2015. Si svolge a Circello, nel Sannio, basato su fatti reali nel Regno di Napoli a fine ‘700.
“Il mio esordio nella narrativa è stato felice per quel riconoscimento. Sono fortunato ad aver trovato, tra le carte di famiglia, una storia così ricca di colpi di scena, che restituisce l’atmosfera di un’epoca turbolenta, quella immediatamente successiva alla Rivoluzione francese”.
Il suo secondo romanzo, MIND (Robin & Sons), ha in comune col primo il Sannio. Perché questa permanenza?
“Ho girato una buona parte del mondo, ma, quando sogno, sogno il Sannio. Ci sono luoghi che fanno parte della nostra identità, dove la nostra intimità trova la sua massima espressione”.
Trasmissione, lettura, controllo, manipolazione delle onde cerebrali sono il tema di MIND. Fantascienza?
“Mi aggiravo giorni fa per le montagne nell’est dello Zimbabwe: paesaggio incantevole, posti immuni dal segnale internet e dalla trasmissione dei dati. Sentinelle della nostra esistenza, le antenne erano lontane. Lì mi sentivo libero!”.
Il 2024 è il vero 1984?
“Non occorrono tristi esperimenti di connessione diretta tra onde cerebrali e strumenti informatici, che sfociano nel controllo della volontà; e nemmeno che l”Intelligenza artificiale’ regoli le esistenze. Già ora la nostra vita è governata dalle macchine”.
Torniamo a “Mind”…
“La previsione del romanzo – installare un microchip nel corpo umano – si è avverata. Purtroppo. Le librerie Feltrinelli misero quel romanzo nel settore fantascienza, ma non era quello il suo posto… Il problema è che, nel nome del denaro, l’essere umano nemmeno lotta per mantenere umano l’essere”.
Dopo una storia del futuro presente, lei prepara una storia di ritorno al passato?
“S’intitolerà Il tesoro di Papele, un’edizione commentata del manoscritto ottocentesco dal quale è tratto il mio primo romanzo. È un po’ una cronaca di come si viveva nel Regno di Napoli, sotto Napoleone, tra storie di gente comune, notabili, briganti e poveracci. Storie vere, ma oltre l’immaginazione. E poi c’è il romanzo cui lavoro da anni, ambientato nel 1955 a Genova, in piazza Banchi, dove un ex ufficiale dello Zar aveva una bottega di fotografia”.
Chi sono gli autori importanti per lei?
“Graham Greene e John Le Carré. Tra i contemporanei, Amor Towles”.