
Esiste un pensiero all’altezza della crisi che stiamo vivendo? Un pensiero che, partendo dalla situazione dell’uomo d’oggi “provvisorio, vagante e occasionale”, senza radici, ci dia un orientamento, ci indichi una via d’uscita e non si arrenda al mercato e alla tecnica, ad una vita ricca di mezzi e povera di senso? A queste domande cerca di rispondere Marcello Veneziani in Nostalgia degli dei. Una visione del mondo in dieci idee (Marsilio), che è un po’ la sintesi del suo pensiero, della sua appassionata e quarantennale ricerca. I lettori più avveduti certamente riconosceranno in questo testo pagine e brani tratti dalle sue opere precedenti; così pure i temi, le dieci idee che hanno formato oggetto costante della sua riflessione e che l’autore denomina dei, quasi a voler indicare “nel tempo della labilità” la durata di ciò che sfida il tempo, le stelle polari che possono guidare gli uomini nella loro vita: Civiltà, Patria, Famiglia, Comunità, Tradizione, Mito, Destino, Anima, Dio, Ritorno. Tutte queste idee, queste “aperture oltre la caducità dell’esistenza”, che compongono insieme una visione del mondo, vanno però ripensate (è infatti solo il pensiero “che illumina la notte e ordina il caos, per quel che è possibile davanti al mistero”) e sono legate da un filo rosso, che è insieme un sentire e un pensare. Un sentire che è costituito dalla nostalgia, intesa non come un sentimento romantico di rimpianto per il mondo perduto, ma come “amore per la luce, per l’inizio e per ciò che va oltre la morte”. Ed un pensare che non è mera riproposizione di ciò che è stato, di ciò che è storicamente trascorso, ma ritorno a quel che è essenziale. Certo, l’essenza talvolta ci sfugge, ci fa disperare e, nondimeno, “è là che riposa il senso della vita nostra. Non si torna al passato ma all’origine.” Dunque, ci troviamo di fronte ad un pensare attento alla vita, che non si perde in astratti ragionamenti, ad un pensare nostalgico che si contrappone al pensare grigio in auge ai nostri giorni, che confonde i mezzi (la tecnica, il mercato) con i fini (l’anima, Dio, il Ritorno) ed ignora la finitudine dell’uomo, il fatto elementare che la vita non nasce e non muore con noi. “Noi passiamo, il cielo resta” è, se si vuole, il leitmotiv di queste pagine. Che cosa spinge infatti Veneziani a scrivere? “Ci spinge a scrivere – confessa l’autore – un pensiero esistenziale, fuori da ogni accademia, che sentiamo come necessario, essenziale. Scriviamo per cercare la verità, non per compiacere le sette degli intellettuali”. Contro il nichilismo che nega la verità, facendo sua la lezione di Ortega y Gasset, Veneziani sostiene che esiste una verità, ma che nessuno la possiede per intero: “ciascuno può e deve amare la verità, ricercarla; ma non può pretendere di averla in pugno. Ciascuno della verità conosce solo un aspetto, uno scorcio, un lato”. Ma tradiamo la verità, quando la subordiniamo alla volontà di potenza, al mercato, al partito, all’io. Il pensare nostalgico invece si caratterizza per l’umiltà, per il senso della misura e del limite, per l’amor fati; non fa della vita il valore supremo, perchè sa che è destinata a finire e che “perdere il cielo è una disgrazia ontologica per l’uomo perché significa svuotarlo di ogni proiezione che lo conduca oltre se stesso e metta in salvo qualcosa di lui, fosse pure uno sguardo, dalla morte nel tempo.” E’ un pensare che non rifiuta la tecnica, il confronto: la tecnica certo allevia il dolore, distrae dal tempo che passa, dalla vecchiaia, dalla morte, soffoca la solitudine, ma alla fine non cancella i limiti della nostra vita. E dunque il pensiero si rivolge agli dei, che rispondono ai due bisogni fondamentali dell’uomo: al bisogno di appartenenza, che si esprime storicamente nella patria, nella civiltà, nella famiglia, nella tradizione e al bisogno di consolazione, che si esprime esistenzialmente e filosoficamente nel mito, nella poesia, nel pensare a un Dio che è il nome che diamo al mistero, alla trama della vita, al disegno intelligente dell’universo. Infatti, “quanto più ci addentriamo nella società che consuma merci ed estingue i valori, una società che crede sempre meno in principi e certezze, tanto più avvertiamo il bisogno di bilanciare questo pervadente nichilismo attraverso un ancoraggio alle nostre radici.” Il pensiero debole e in fondo disperato, che domina nella nostra epoca, respinge il cielo, ma non guadagna la terra; ci libera dai legami comunitari, spirituali e perfino naturali, ma lascia l’uomo da solo di fronte alla paura di morire; si avvolge nelle nebbie del nichilismo e nella retorica umanitaria che copre l’indifferenza e il vuoto. Certo, preliminare al pensare nostalgico è una scommessa che richiama quella di Pascal (ed anche il “Dio è un rischio” di Prezzolini):”tra il sacro e il nulla, tra il fato e il caso, tra il senso e l’insensato, decido di scommettere…siamo dentro al nichilismo… ma possiamo decidere se starci convinti che sia il migliore dei mondi possibili o l’unico, e che la nostra condizione sia inevitabile e insuperabile… o se disporci in vista di qualcosa che non sia il deserto… persuasi che ci possa essere qualcosa di diverso dentro, dopo e oltre il nichilismo.”
Il pensare nostalgico, che è intuitivo piuttosto che analitico, allusivo piuttosto che deduttivo, è per sua natura contiguo alla poesia. E intense, poeticamente suggestive sono le pagine che Veneziani dedica alle riflessioni sul cielo stellato dell’infanzia e della maturità, come pure quelle dedicate alla poesia (“la poesia è la dimora della nostalgia… la nostalgia è il sentimento originario che muove l’arte, il pensiero, la grande letteratura e si condesna in un mito: l’Odissea è il poema della nostalgia.”). Insomma, se volessimo condensare in uno motto il bel testo di Veneziani, potremmo ripetere con i saggi latini: vivere non basta, bisogna navigare!