Intervento di Giannozzo Pucci, consigliere comunale della Lista Verde di Firenze, nell’incontro pubblico in cui sono state discusse le tesi di Alain de Benoist in materia di ecologia, insieme a Carlo Ripa di Meana, Ermete Realacci e Marco Tarchi; Firenze, 8 settembre 1995. Pubblicato su Diorama letterario n. 189, ottobre-novembre 1995. Per gentile concessione dell’Autore e dell’Editore.
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In un articolo pubblicato ieri su Repubblica (7 settembre 1995), Marco Tarchi accusa il movimento politico verde di aver stemperato il suo messaggio globale di fronte alle accuse di fondamentalismo e di averlo perso nei mille rivoli dei buoni piccoliconsigli tecnici, ripiegando nella tattica dl contenimento degli inquinamenti più gravi e di denuncia, in una posizione di subalternità rispetto alle maggiori forze politiche istituzionali.
Per sfuggire a questo destino, Tarchi propone di abbandonare la routine dei meri compiti istituzionali e ritrovare le grandi battaglieideali: a questo scopo ha dedicato l’intero fascicolo 186 della sua rivista Diorama Letterario alla riflessione sulla rivoluzionefilosofica prodotta dall’ecologia e dal pensiero verde. La sua accusa vale, credo, soprattutto per il movimento verde italiano: non acaso tutti gli articoli della rivista, eccetto uno, sono firmati da non italiani e nessuno fa riferimento a pensatori ecologisti italiani dicui, del resto, non si conosce nessuna pubblicazione, almeno per quanto riguarda l’ecologia profonda. Questo stesso incontro èil primo che sia stato organizzato fra i verdi da quando, cinque anni fa, ci fu l’unificazione fra Verdi Arcobaleno e Liste Verdi in unpartito. II dibattito iniziato in modo molto promettente sulle pagine del Manifesto nel 1985-86 era stato presto soffocato dallalinea politica del giornale e non aveva trovato altri sbocchi all’interno della federazione italiana dei Verdi.
Feyerabend, Polanyi, Illich
Apparentemente, le accuse di Tarchi sono fondate in un paese in cui Paul Feyerabend Fnon ha trovato che avversari a livello scientifico, in cui gli alleati di Léon Krier in urbanistica si contano sulle dita di una mano, e in cui Polanyi, Illich, GeorgescuRoegen e Schumacher hanno avuto al massimo degli amici e degli ammiratori. ma pochissimi che avessero la libertà morale dlimprontare creativamente alle loro tesi il proprio lavoro in economia, sociologia e pianificazione.
L’Italia è diventata il paese più consumista, che più scimmiotta gli americani, quello che più di ogni altro in Europa ha distrutto ilsuo mondo agricolo e contadino, perché più degli altri convinto che rappresentasse solo un brutto passato da dimenticare, il paese che più ha devastato i suoi meravigliosi paesaggi, sacrificandoli agli affari di un progresso di cartapesta: l’Italia è stataper decenni, ed è ancora, un paese in fuga da se stesso.
Ebbene, gli ecologisti italiani sono stati profondamente colpiti dal bagno in queste masse del consumismo sfrenato a cui ilcoinvolgimento istituzionale li ha costretti, e davanti al problema di come vincere le elezioni, o almeno sopravvivere elettoralmente, nel momento in cui avessero proposto ai consumatori un messaggio di vita parca, cli rinuncia a Dinasty e allaPunto, si sono rifugiati nel parchi e nell’ illusione del consumismo ecologico, delle biotecnologie “per la gente”, mostrandosi comprensivi per i bisogni e le debolezze del consumatore medio e cercando di convincerlo che, votando verde, non avrebbeperso quello che già aveva ma avrebbe solo guadagnato l’aria pulita.
II consumatore non è rimasto troppo convinto, e in Italia la riflessione filosofica sulla novità delle idee ecologiche, potenzialmente ingigantita dal crollo del muro di Berlino, si è arenata. Questo numero di Diorama ce la ripropone in tutta lasua radicalità culturale e nella sua alterità rispetto alle altre filosofie politiche ed economiche degli ultimo tre secoli.
Pur condividendo in buona parte l’analisi di Tarchi e dei redattori del numero 186 di Diorama, ci sono punti importanti daaggiungere e che, in parte, possono rappresentare giustificazioni alla debolezza dai pensiero ecologico italiano, anche se non per suo merito.
L’ecologia affermativa
Il primo punto riguarda il concetto di «alternativa». Tutte le rivoluzioni che, da Bacone in poi, hanno spazzato l’Occidente, hanno alzato la bandiera dell’alternativa. Philippe Forget, nell’articolo di chiusura di Diorama, dice: «L’ecologia deve smettere diessere reattiva. deve essere affermativa»; ma ciò propone un atteggiamento difforme da tutte le ideologie degli ultimi tresecoli, e non può realizzarsi nella pura affermazione di proprie novità filosofiche.
Qui devo collocare il secondo punto, che ritengo essenziale aggiungere e che in parte contrasta con l’analisi di de Benoist eForget, che accolgono le tesi di Lynn White jr. sull’origine giudaico-cristiana della crisi ecologica. Tale tesi è stataefficacemente confutata da Wendell Berry nel saggio Il dono della buona terra. Per fortuna, perché, se fosse vera la tesi di White, ci sarebbero ben poche speranze di conversione dell’Occidente.
In realtà, a ben guardare, le radici della nostra crisi ecologica, che è culturale e morale, anche nel senso di mores come modi di vivere, è molto più recente e va, a mio parere, collocata in un’idolatria religiosa, nata sì in ambiente ebraico-cristiano, ma checon l’ebraismo e più ancora con il cristianesimo non aveva nulla a che fare.
La cosmologia morale medievale – come rappresentata da lldegarda di Bingen nel Liber divinorum operum simplicis hominis,da Dante nella Commedia e da San Tommaso d’Aquino nella Summa e magistralmente completata nel Rinascimento dallascuola platonica fiorentina che, come Sant’Agostino, fu profondamente influenzata dal pensiero di Plotino e sfociò nellasuprema sintesi di Pico della Mirandola nel De dignitate hominis e nella predicazione del Savonarola – è la vera e piùprofonda forma dell’identità morale dell’Occidente, nella quale convivono concezioni pagane e cristiane, in un comune minimodenominatore di virtù.
Le posizioni di Bacone, Cartesio e Galileo hanno portato alla destituzione della cosmologia europea e alla sua sostituzione conil sapere scientifico sostenuto dalle semplificazioni del riduzionismo intubate nei principii di efficienza, causalità e casualità. Questa èla forma di apostasia, anticristiana e antipagana a un tempo, che ha deformato la mente occidentale, ponendo l’uomo in fuga da se stesso e alla ricerca del guadagno materiale come giustificazione del vivere in un’assurda elefantiasi dell’istinto di conservazione.
Certamente una forma diffusa di apostasia era già presente nella società europea prima di Galileo e Cartesio, come la conquistadelle Americhe fa pensare. Ma solo il trionfo della scienza, come massima autorità nell’interpretazione del mondo, inaugura una parentesi storica di totale fuga dell’uomo da se stesso, dalla sua terra, dalla sua più profonda identità.
Per Ildegarda e per tutta la piattaforma morale europea, è l’uomo semplice che può compiere le opere divine. Per la scienza Dio non esiste o è come non esistesse; l’uomo semplice è ignorante, lo scienziato è il possessore e il dispensatore della realtà vera, dalla cui conoscenza nasce il potere, cioè la capacità di manipolare la realtà. Tutta la popolazione deve perciò essere alfabetizzata, per acquistare l’alfabeto elementare della scienza, che permette di capirne le mode: chi non le capisce, sta oltre la frontiera della civiltà e deve essere colonizzato.
La pretesa scientifica di sostituire le epoche dell’irrazionalità con quella della ragione oggettiva, come ha ampiamente dimostrato Feyerabend, non è altro che una nuova religione, con i suoi sacerdoti e i suoi dogmi, forse più irrazionale ancora e più angosciante, perché ogni sua certezza è contingente e sempre sul punto di essere spodestata da una nuova scoperta.Lo stile scientifico, in tre secoli, ha continuato ad arare la cultura occidentale abbattendo ogni identità tradizionale e potere dell’uomo semplice basato sui cinque sensi.
Come spiega lucidamente Philippe Forget nell’articolo citato, la religione tecno-scientifica ha prodotto fra l’uomo, le cose e glialtri uomini un rapporto inimicale e concorrenziale. Il fine dell’ecologia è quello di collocare differentemente l’umanità nell’universo.
Io credo che l’ecologia, per svolgere questo compito, non possa inventarsi una sua “nuova” via, come ha fatto la culturascientifica, ma debba riscoprire quell’architettura morale che costituisce l’identità profonda delle culture e tradizioni dei vari popoli a partire dagli occidentali. dal Mediterraneo all’Europa transalpina.
Il no dei Greci alla civiltà tecnica
La religione scientifica, che ha prodotto le ideologie politiche degli ultimi due secoli, ora in bancarotta, e la progressiva distruzione del pianeta, ha corrisposto infatti o una fuga dai valori tradizionali più profondi della civiltà europea, a unaregressione nella barbarie della non civiltà, della non storia, della non morale. «Se i Greci», continua Forget, «non hannoavuto una civiltà tecnica, ciò non vuol dire che non ne siano stati capaci o “non ancora” capaci: è che non lo volevano,conformemente allo spirito del sistema dei valori che costituivano la loro “morale”».
E qui siamo davanti al tema centrale di ogni essere umano, di ogni popolo e di ogni civiltà, quello della scelta che la religionescientifica ha cercato di banalizzare, moltiplicando le pseudo-scelte, allargando artificialmente i limiti delle comodità e dei piaceri.
Non esiste un meccanismo filosofico per il quale da un pensiero ne debba derivare necessariamente un altro negativo. La tematica ultraterrena delle grandi religioni universalistiche non ha prodotto il dualismo cartesiano, ma è stata una scelta, unaripetizione del Peccato Originale, che ha affascinato l’Occidente. Il tema della libertà umana mai è stato espressofilosoficamente in modo cosi perfetto come da Pico della Mirandola nel De dignitate hominis, nel quale sono contenute lerisposte sia ai motivi del disastro ambientale che a quella parte del fondamentalismo ecologico che pretende l’uomo come gli altrianimali e quindi esige da esso Io stesso rispetto delle leggi naturali che hanno gli animali. «Non ti facemmo né celeste néterreno, né mortale né immortale affinché tu, di te stesso quasi arbitro e onorario plasmatore ed effigiatore, ti componga inquella forma che avrai preferita. Potrai degenerare in quelle inferiori che sono brute; potrai, per decisione dell’animo tuo,rigenerarti nelle superiori che sono divine». La cosmologia dantesca, che assorbe gli antichi miti pagani, rappresenta un viaggiopersonale, sociale e politico che ha il compito di rigenerare l’umanità nelle forme superiori e divine. Ogni cosmologia tradizionale disegna una carta della natura e dell’universo come ausilio all’esplicazione del più alto compito umano, che è quello dielevarsi verso le forme superiori.
La religione scientifica è l’unica che toglie alla conoscenza dell’universo ogni significato morale, analogico e spirituale perridurli a macchina funzionale. I valori dell’utile, l’istinto di conservazione e oggettivazione non possono fornire motivazionisufficienti alla società nel suo insieme e alle singole persone in grado di operare quella immensa conversione dei comportamenti, delle economie e del modo di vivere che può riportare il mondo occidentale, e perciò il mondo intero, dallaattuale funzione di cancro del pianeta a quella di organismo simbionte. Per questo occorre reintegrare nella cultura occidentale a pieno titolo la vita spirituale, l’al di là, l’inferno, il paradiso, riscoprendo tutti gli aspetti di quel principio ecologico secondo cui ildanno fatto all’ambiente non è solo fatto ai prossimi ma anche a se stessi, e non solo sul piano materiale e contingente ma anche alla radice più profonda del proprio essere, sia come persone che come popolo comunitario e civiltà, che è il vero sensodella parola spreco, cioè peccato.
Cambiamento totale di rotta
È proprio nella riassunzione culturale piena della tradizione ebraico-cristiana, di cui l’ecologia può essere solo il detonatore,che esiste una speranza di pace e rinascita dell’Occidente dopo la conversione, cioè il cambiamento totale di rotta.
Occorre passare dalla barbarie di una razionalità per la quale non c’è spazio per i bambini e le generazioni future (a cui sitoglie l’aria, l’acqua. il paesaggio, il luogo), non c’è spazio per le generazioni passate che non rappresentano più nulla (radici spezzate, esseri superati), non c’è spazio per l’uomo semplice di ora (soppiantato e reso vuoto da scienziati ed esperti), alla civiltà diun panorama culturale in cui la cosmologia tolemaica, intesa come centralità dell’essere umano che da valore ai suoi sensi che guardano l’universo e la casa comune terra, torna al suo posto anche dopo la comprensione di Copernico e Galileo insieme alla centralità della terra e della responsabilità umana, all’interno di una geografia fisica e simbolica in cui ogni cosa, anche l’attuale disastro, è viva proprio perché momento di possibile elevazione umana. La rivoluzione ecologica è oggi ilprincipale detonatore alla riscoperta della verità, della essenzialità della tradizione, per smettere di fuggire da noi stessi.
Le parole «tradizione» e «tradizionalista» sono diventate quasi un’ingiuria, perché per due secoli la propaganda scientifica hadiffuso la volgare insinuazione che fossero sinonimi di inerzia creativa e le ideologie politiche post-illuministe le hanno fattecoincidere con la destra conservatrice. In realtà, «tradizione» è quel processo dinamico vitale per cui un’originale forzacreativa viene trasmessa di generazione in generazione arricchendosi di ogni apporto successivo. Essa corrisponde alperfetto modello di disciplina ecologica e agricola in cui la legge inflessibile è che la sorgente deve essere protetta: si possonoprendere i frutti ma si deve salvare la capacità di generarli di nuovo, come dice Wendell Berry nel suo commento al paragrafo22 del Deuteronomio.
Progresso contro tradizioni
Mai classificazione politica è apparsa più fuorviante, falsa, ingannatrice di quella fra destra e sinistra dopo due secoli in cui èstata la principale misura dei movimenti sociali e dei partiti, anch’essa un risultato del dualismo cartesiano. Certo, latentazione è di aprire, nei suoi confronti, un processo dei tipo di Tangentopoli, per mostrare tutte le frodi che la destra haperpetrato ai danni della tradizione, imbavagliandola, e che la sinistra ha perpetrato ai danni dei mansueti e degli strati socialipiù vicini ai mestieri di custodia della terra, eliminandoli.
Il progresso – come cancellazione dell’autorità delle autentiche tradizioni – e Io sviluppo – come distruzione dell’ambiente e diuna buona e locale soddisfazione dei bisogni fondamentali all’interno di costumi e modi di vivere domestici – hanno continuatoindisturbati il loro corso, sia sotto il segno della destra che sotto quello della sinistra. Ogni rivoluzione e ogni vittoria sindacalein Europa hanno rafforzato la capacità dell’economia industriale di esportare la distruzione in altre culture e nell’ambiente naturale.
I verdi impegnati nelle istituzioni, più consapevoli di ciò, hanno avuto la tendenza a gravitare vicino alla sinistra, in quantoapparentemente più aperta alle novità; altre volte si è diffusa l’equazione né di destra né di sinistra, allora di centro. I principalialleati culturali del detonatore verde sono gli ambiti in cui maggiore è la presenza di esigenze culturali e politiche che nonpossono essere soddisfatte né dallo stato nazionale, né dalle ideologie ottocentesche; ma in realtà anche il detonatore verdenon riuscirà a esser tale se non capirà la sua alterità rispetto all’elefantiasi dei diritti e se non si dedicherà con grande impegno a tradurre nella storia di oggi la geografia morale della Divina Commedia, e con essa di tutte quelle prescrizioni,come il divieto della Chiesa ai prestiti con interesse, che difendevano la civiltà europea dall’intrusione del regno della quantità.
Di tutto ciò non può essere solo portavoce un movimento politico verde. La rivoluzione culturale e morale innescatadall’ecologia, rompendo con le rivendicazioni interne al sistema, ha bisogno di coagulare, come facciamo oggi, uomini e pensieri fuori dalle parti politiche, a di attraversarle tutte, costituendo comunità locali, che sviluppino il proprio potere, studiando dal vivo e imparando il giusto modo di governare e gestire il territorio per attuarle direttamente secondo le proprie possibilità, influenzando anche le istituzioni.
L’articolo di Giannozzo Pucci, benché datato (1995), offre interessanti spunti alla riflessione circa la collocazione e la politica dei movimenti verdi (in Italia totalmente appiattiti sulle tesi della sinistra fucsia). Purtroppo a distanza di quasi trent’anni dall’articolo non possiamo che dare ragione a Marco Tarchi che lamentava come il movimento verde avesse perso la sua radicalità e la sua forza propulsiva. Per fortuna ci sono ancora associazioni come Fare Verde (emarginate nell’ambiente che dovrebbe fare tesoro delle sue tesi) che innalzano ancora la bandiera dell’ecologia profonda e fanno cultura.