“La Bellezza salverà il mondo” scrive ne “L’Idiota”, Fedor Dostoevskij. Più prosaicamente, da anni, ci chiediamo – in Italia – se la Bellezza, oltre a salvare il mondo, potrà essere il volano della ripresa economia.
L’Italia, infatti, con i suoi 52 siti Unesco vanta un patrimonio pari a circa 279 miliardi di euro: abbiamo più siti dell’immensa Cina, con un valore artistico inarrivabile nel mondo. Solo con questi due dati possiamo porre le basi per una nuova economia che si poggi sul valore artistico e storico come volano dello sviluppo.
Eppure l’industria turistica del Bel Paese soffre di una mancata progettualità che ne frena lo slancio economico. Se andiamo ad analizzare i dati occupazionali sul settore turistico/culturale, notiamo come questo incide pari al 3,5% sul totale degli occupati, 19esimo posto tra le nazioni appartenenti all’Unione Europea. In più il dato è critico e penoso se aggiungessimo anche il fattore istruzione e quello dell’età. Infatti i laureati impiegati non arrivano neanche al 50% relegandoci tra le ultime 4 nazioni europee.
Infine l’incidenza del settore cultura sul PIL è del 0,8% che relega l’Italia al penultimo posto in Europa per il rapporto cultura/PIL; a tutto ciò aggreghiamo ancora due ultimi dati, quello delle presenze nei musei e quello della spesa per famiglie. Sul primo fattore vediamo come nella classifica dei musei più visitati, il primo museo nostrano è quello degli “Uffizi” di Firenze al 20esimo posto, nonostante il boom annunciato dall’ex ministro Franceschini. Il dato della spesa delle famiglie, pari al 6,6% del reddito, è quasi due punti al di sotto della medi europea che si attesta all’8,5%.
Da questi dati sorgono alcune domande: Che fare? Come fare della cultura il punto cardine dell’economia italiana?
Senza dubbio i tagli che si operano dal 2008 ad oggi, specie nelle regioni del Sud non aiutano alla nostra tesi; in più ci sembrano alquanto inefficaci le operazioni spot delle domeniche al museo o del bonus Renzi ai giovani se non vengono accompagnate a programmi di crescita e di sviluppo seri e coordinati.
Il patrimonio italiano è un autentico tesoro, ricchissimo e “diversificato”. Quel che manca in questa è un piano d’azione politico e culturale capace di usare il fattore C per rilanciare lo sviluppo del territorio e l’economia italiana. In più è opportuno rilanciare un brand Italia capace di essere spendibile e vendibile all’estero e di comunicare tutta le Tradizioni, la Storia e la Bellezza del Bel Paese.
Investire in cultura può portare vantaggi competitivi unici alla nostra economia e, perciò, aiutare il rilancio di interi territori del Mezzogiorno e delle aree interne del nostro Paese. Un’area politica che si ispira a valori identitaria, dunque, non ha scelta: deve creare una proposta politica che leghi inesorabilmente il fattore C all’economia.