Nella fase uno della gestione dell’epidemia cinese, i Paesi occidentali hanno tentato di contenere il contagio anche attraverso uno stop alle attività produttive, concordando però sulla necessità di controbilanciare gli effetti negativi della chiusura con un’iniezione straordinaria di liquidità nel mercato. Il nostro Governo, in linea di principio, sembrava aver condiviso l’esigenza di apportare ossigeno al polmone produttivo della Penisola allo scopo di evitare la crisi respiratoria dell’intero Paese.
Nonostante il primo decreto adottato per reagire alla crisi (c.d. Cura Italia) si fosse dimostrato inadeguato a fronteggiare l’emergenza, prevedendo delle misure troppo contingenti (limitate sia dal punto di vista dei beneficiari delle agevolazioni che per la durata delle stesse), ci era sembrato corretto astenerci da una critica troppo forte al Governo, considerata la situazione straordinaria da cui era stato travolto, ma anche perché esso prometteva di adottare a stretto giro misure più efficaci.
Il decreto Liquidità
Con la pubblicazione del secondo decreto (c.d. Liquidità) abbiamo capito però che sbagliavamo ad illuderci che lo sesso Governo che in tempi di pace aveva mostrato tutte le sue fragilità, potesse avere la prontezza per far fonte ad un’emergenza di tale portata.
A conti fatti, però, ciò che risulta più difficile da perdonare è che neppure nella situazione di instabilità corrente si sia saputo rinunciare alle perversioni burocratiche che sono riuscite a indebolire ulteriormente la già fragile azione di sostegno alle imprese. Colpisce, soprattutto che le farraginosità amministrative abbiano riguardato le misure dirette alle piccole e medie imprese che, rappresentando il 92% delle aziende attive in Italia, costituiscono il vero motore dell’economia del nostro Paese.
Mancata erogazione dei 25mila euro
Negli ultimi giorni, gli istituti di credito hanno reso noto che delle circa 550 mila domande di finanziamento garantito fino a 25.000 € (di cui al Decreto Liquidità) soltanto una su due è stata esaminata ed erogata. A preoccupare è soprattutto il numero esiguo delle richieste pervenute, la qual cosa, spiega Bankitalia, è dovuta alle lungaggini delle procedure e alla richiesta di documentazione aggiuntiva. Lo scarico di responsabilità del governo giallo-rosso è stato, come sempre, immediato: Conte e il suo giornale pentastellato hanno accusato le banche dei ritardi nella procedura(1).
Ma nonostante le inefficienze debbano imputarsi anche alle diversità di applicazione delle norme da parte delle banche che chiedono documenti ulteriori non indicati nel decreto o che, peggio, hanno pubblicato online moduli che poi si sono rilevati inesatti(2), non può nascondersi che questo atteggiamento degli istituti finanziatori è dovuto anche al ginepraio intricato di regole adottate dal nostro legislatore. Si consideri in primo luogo che non è stata eliminata la responsabilità penale in capo ai bancari per l’erogazione del credito(3); si tenga poi presente che ben 6 pagine di normativa (i.e. l’art. 13 del DL liquidità) non sono bastate all’attuazione del finanziamento in esame e sono state seguite da una tale quantità di documenti normativi e di prassi da costringere l’Associazione Bancaria Italiana ad adottare un Testo Unico Semplificato di ulteriori 80 pagine per provare a raccogliere e fare chiarezza nel marasma di disposizioni regolamentari del MEF, del Ministero dello Sviluppo Economico, del Mediocredito Centrale, della SACE e della Banca d’Italia. Figuriamoci che, nelle sue varie dirette Facebook, il presidente Conte, aveva sostenuto di voler improntare l’azione di sostegno alle imprese ai principi di semplicità e sburocratizzazione.
Mancata semplificazione
Verrebbe da chiedersi quale peso abbiano tali dichiarazioni se, anche laddove sarebbe stato semplice adottare soluzioni normative chiare, il Governo ha optato inspiegabilmente per una tecnica legislativa opposta e insensata. Sul piano tributario, infatti, le associazioni di categoria (fra le tante Confindustria, Confcommercio e CGIA) avevano sin da subito provato a far ragionare l’esecutivo reclamando un taglio temporaneo delle imposte. Ma nonostante le ragionevoli richieste dal mondo delle aziende, i Giallo-rossi si sono limitati a posticipare i prelievi utilizzando ancora una volta un disegno normativo aggrovigliato: una serie di norme e di rimandi alla disciplina precedente che, accavallandosi, rendono difficile persino per gli addetti ai lavori comprendere requisiti, beneficiari e tempo delle sospensioni (si vedano a titolo di esempio gli artt. 18 DL Liquidità e 61 DL Cura Italia).
252 pagine per il Dl Rilancio
Su questa linea, anche le 252 pagine dell’ultimo decreto di Conte (che in origine doveva chiamarsi decreto di aprile ma che si è dovuto rinominare “DL Rilancio” perché pubblicato in Gazzetta soltanto il 19 maggio!) dove viene previsto tra l’altro un taglio dell’IRAP. Anche qui, il legislatore sceglie una tecnica normativa bislacca, prevedendo la soppressione del saldo dell’imposta del 2019, scelta quantomai particolare perché In questo modo, e senza alcun criterio giustificativo, a fronte dello stesso fatturato, soltanto le imprese che hanno un importo da saldare con il Fisco beneficeranno dello sgravio fiscale(4).
Non dimentichiamo che, in assenza di fondi immediatamente disponibili, il congelamento delle imposte, se ben configurato, avrebbe potuto garantire un’immediata iniezione di liquidità alle imprese.
In questo mare magnum di burocrazia e regole amministrative viene allora da chiedersi dove sia la coerenza di un Governo che, mentre non si fa scrupoli a sacrificare le garanzie parlamentari in nome della straordinaria urgenza, non rinuncia ai capricci burocratici quando si rivolge ai contribuenti. Non ha tutti i torti, allora, chi lamenta che in Italia il contagio della burocrazia a tutti i settori del vivere civile, sembra pensato apposta per creare delle situazioni artificiali di intermediazione pubblica (Nicola Porro, Le tasse invisibili, Milano, 2019, 31).
1. Si veda P. De Rubertis, Le banche si tengono i soldi: sì a un prestito garantito su 4, in il Fatto quotidiano del 24 maggio 2020.
2. Banche: Masi (Uilca), diversità fra istituti in applicazione, in ANSA NAZIONALE, del 21 aprile 2020.
3. Sulla rilevanza di questa mancanza si veda R. Ricciardi, Prestiti garantiti: lungaggini e istruttorie non richieste. Ecco perché i clienti si lamentano delle banche, in Repubblica del 21 maggio 2020.
4. In questo senso, M. Leo, Il virus che pesa sul DL Rilancio, in il Sole 24 Ore del 27 maggio 2020.
Ottima analisi che dimostra l’inefficienza di questo governo!
Ma quando mai comunistoidi e vaffanculisti potrebbero risollevare l’economia italiana? La politica deve staccarsi dall’economia, sempre più, in un’ottica squisitamente liberale. Sogni? Lo so, l’italiano non ha alcun senso dello Stato, tranne quando si tratta di prendere ciò che la politicuzza gli dà per campare (la politicuzza, naturalmente..)…
Condivido quanto scrive @guidobono, ridurre la spesa pubblica in ottica liberale è l’unica soluzione utile. Al tempo stesso, però, mi trovo d’accordo con l’articolo perché in situazioni eccezionali come quella del covid, è necessario un intervento statale
Sì, se l’intervento statale fosse limitato alle situazioni di vera emergenza. Ma ormai l’intervento pubblico nell’economia è costante, perenne, complessivamente disastroso. Porta nell’economia l’inefficienza dello Stato, il burocratismo esasperato, le logiche partitiche, per non dire di peggio…