
Loris Karius è entrato nella Storia del calcio. Dalla porta sbagliata, la sua. Due europapere costano al Liverpool la Champions League. Forse più delle sue imbarazzanti gesta è stata la furbesca entrata sanguinaria di Sergio Ramos su Mohamed Salah a stroppiare le speranze Scousers.
Fatto sta che Karius, biondo portierino di Germania, è diventato il simbolo della finale di Kiev. Tutto succede nel secondo tempo quando, troppo frettoloso, allunga il braccio per lasciare la palla a un compagno. Ma non ha calcolato la vicinanza con il marpione Benzema a cui basta allungare lo zampone per far scivolare in rete il gol più beffardo della storia recente del trofeo continentale. È il 51esimo.
La prende malissimo, Karius. Anche perché – tredici minuti dopo – Gareth Bale indovina una rovesciata ancor più bella di quella di Cristiano Ronaldo a Torino contro la Juve. Annichilito, non ci capirà più nulla. Tanto che, all’83esimo, si lascerà sfuggire dalle mani un innocuo lancio lungo del gallese. In una frazione di secondo si consuma il comico nel tragico.Fa sorridere, a vederla da fuori, la parabola maligna del pallone che punisce la poca attenzione del portiere del Liverpool che, in quel momento, tanto vorrebbe sprofondare nel prato plastificato di Kiev, coperto dal manto scuro del cielo squarciato dai lampioni artificiali dell’illuminazione e della tv.
Quando i tre fischi dell’arbitro chiudono la finale, si accascia al suolo. Si nasconde il viso, rigato dalle lacrime. Nessuno dei suoi compagni gli va vicino, manco per dargli uno schiaffone. Lo consola Bale, lo conforta Klopp. I social lo azzannano, qualcuno tanto famoso quanto povero di spirito, gli prospetta come unica opzione futura la scelta tra alcol o eroina. Calcisticamente, la sua vita è già finita. Sarà davvero difficile, per lui, cancellare l’onta di Kiev. E gli sarà negata pure l’unica opportunità per riscattarsi a breve termine: Karius, difatti, non è nel giro della nazionale tedesca che punta a bissare il titolo mondiale del 2014 in Russia.
Che non fosse un grandissimo portiere era chiaro, già prima della disfatta in terra ucraina. Che abbia responsabilità è palese, così come errare (su Benzema) è umano ma perseverare (sul tiraccio di Bale) è diabolico. Ma va tenuto presente che il Liverpool senza Salah ha dimostrato d’essere poca cosa, nonostante il coraggio del folletto Mané che s’è caricato sulle spalle una squadra tanto volenterosa quanto mediocre. Lo ha capito pure il Real più brutto degli ultimi anni.

Non è il caso, dunque, di fare dello scarso Karius il capro espiatorio di una finale perduta, di trasformarlo nell’odierno Moacir Barbosa, il portiere del Brasile del 1950 emarginato in patria perché ritenuto responsabile della peggior tragedia (sportiva e calcistica) dei tempi nostri: il Maracanazo. Barbosa “morì” al triplice fischio della finale, nonostante abbia vissuto altri cinquant’anni dopo l’impresa di Obdulio Varela e dell’Uruguay più bello di sempre. Diffamato, bistrattato, emarginato, colpevolizzato: fu trattato da traditore della Patria.
Karius, che ha venticinque anni, non merita questo destino. In fondo si è giocato a Kiev, non a Maracanà. Si disputava la finale di un torneo tra multinazionali del calcio, non la finale dei Mondiali…