L’Europeo è giunto al termine, la coppa è tornata a casa, la nostra, e i festeggiamenti stanno facendo dimenticare quello che è stato un anno tremendo per la nazione.
C’è chi ha creduto sin dall’inizio nell’impresa della banda di Mancini, chi si nascondeva dietro la scaramanzia e chi non aveva nulla in cui sperare, ancora scosso dalle recenti disgrazie degli azzurri. Eppure eccoci qua, a parlare, da un giorno a questa parte, di nazionale, di 26 leoni e non di singoli, perché quello che è riuscito a fare Mancini è stato dare un’identità alla squadra, creare e cementare un gruppo attraverso l’arma più difficile: la leggerezza. Così tutti i 26 convocati si sono sentiti parte del progetto, mossi verso un sogno e un obiettivo, che poi tanto irrealizzabile non era, perché se ci crede il condottiero, ovviamente i guerrieri si sentono investiti di una carica sovrannaturale.
Le risate di Chiellini prima dei rigori con la Spagna, la sportività di Donnarumma che ha abbracciato prima della lotteria sia Pickford che Unai Simon, la semplicità di Pessina, la grande professionalità di Emerson Palmieri e le lacrime di Spinazzola, sono le cartoline che Mancini ci ha regalato puntando su tutto il gruppo. Il padel, le risate, i siparietti hanno alimentato lo spirito leggero e senza pressione di ciascuno, portando a vedere gli avversari con massimo rispetto ma alcun timore.
Nessuno ha giocato per interessi individuali, e questo sentimento è diventato sempre più forte da quando Spinazzola, fino ad allora migliore giocatore dell’Europeo, si è infortunato. I compagni avevano un motivo in più per andare a vincere, andare sul tetto d’Europa e sopire quella indomita spocchia britannica che aveva occupato Wembley già dai giorni precedenti. Vedere gioire il compagno fermato sul più bello dall’ennesima sfortuna della sua carriera. Donnarumma ha dimostrato con un’umiltà mai vista prima di essere il miglior portiere del mondo e quella reazione pacata dopo aver parato il rigore a Saka ne è la dimostrazione lampante: era un uomo della squadra e doveva festeggiare con tutti i compagni, non da solo. Ha aspettato l’onda azzurra e solo allora si è lasciato andare ai festeggiamenti (forse anche perché ancora inconsapevole di quello che aveva fatto). La sicurezza con cui Bonucci e Chiellini caricavano i compagni anche dopo gli errori, non faceva altro che infondere sicurezza a tutti. Tutti sono stati utili, tutti fondamentali per il raggiungimento di un sogno, quel sogno che Mancini aveva già visto tempo addietro e che è diventato la realtà degli italiani, i quali finalmente, per qualche settimana, hanno potuto godere di quello stesso insostenibile peso della leggerezza che avevano visto vivere ai 26 azzurri.