“E adesso perquisiteci tutti”. Sarebbe potuto essere questo il titolo della marcia goliardica messa in scena qualche giorno fa dal tifo organizzato del Basilea, storico e pluridecorato club calcistico della Svizzera. In occasione della trasferta a San Gallo, infatti, un gran numero di supporter rossoblù ha sfilato dalla stazione allo stadio in mutande per protestare contro l’inasprimento del concordato anti-hooligan, in particolare contro l’autorizzazione alle perquisizioni corporali concessa anche a società private di sicurezza (gli steward) in presenza di discrezionali sospetti concreti.
Che il calcio non sia più solo una festa è dimostrato da tempo anche in Svizzera: dal 2007 l’Ufficio federale di polizia ha dovuto dar vita al sistema d’informazione HOOGAN, un metodo per schedare tutte le persone che hanno assunto comportamenti violenti in occasione di manifestazioni sportive in Svizzera e all’estero. Un metodo certamente efficace, che però è ritenuto troppo invasivo da chi fondamentalmente lo subisce, dai veri amanti dello sport: andare allo stadio per sostenere la propria squadra del cuore e trovarsi ad essere perquisiti da qualcuno che non fa nemmeno parte delle forze dell’ordine nel maggiore dei casi deprime a tal punto da spezzare ogni entusiasmo. E in tal senso la marcia in mutande dei tifosi del Basilea è stato il mezzo comunicativo migliore per aprire un dibattito importante sul tema della sicurezza negli stadi. La passione pura non teme i controlli, ma nemmeno li digerisce. E se in Svizzera, come nel resto dell’Europa, si continueranno ad attuare metodi che quella passione la spengono, presto sarà proprio il sistema calcio a rimanere in mutande.