La sorte gli ha risparmiato l’ultima beffa, che di sicuro l’avrebbe addolorato: la conferenza stampa degna di “Scherzi a parte” nella quale tre oscuri “advisor” hanno annunciato, davanti a una folla di esterrefatti giornalisti, di rappresentare una ignota cordata di ignoti imprenditori in possesso di una somma ignota (ma definita “adeguata”) con la quale vorrebbero acquistare da Urbano Cairo il Torino Fc. Situazioni degne di Oronzo Canà e del Borgorosso Fc di Alberto Sordi, con la differenza che quelli, almeno, facevano ridere.
Ecco, tutto questo, per fortuna, Sergio Vatta – morto a 82 anni la scorsa settimana -non ha fatto in tempo a vederlo. Lui, da vecchio e sincero cuore granata, ci sarebbe rimasto male. Il nome di Vatta forse non è molto noto al di fuori di Torino e del Torino, ma chi mastica di calcio lo conosceva come il “mago” del settore giovanile. Sotto la sua direzione la formazione Primavera granata degli anni d’oro (dal 1977 al 1991) diventò la squadra giovanile più forte e titolata d’Italia (due Campionati, sei Coppe Italia, quattro Tornei di Viareggio). Risultati poi confermati nel ruolo di citì delle nazionali Under 16 e Under 17, da tecnico della nazionale femminile (portata ai Mondiali nel 1998) e nella breve parentesi da responsabile delle giovanili alla Lazio di Cragnotti (titolo Primavera e titolo Giovanissimi). A fine carriera, per un paio d’anni, Vatta fu anche responsabile delle giovanili del Paok Salonicco e dirigente dell’Alessandria.
Un mago per i giovani
Sotto la sua guida si sono formati intere generazioni di calciatori, tra i quali spiccano alcuni campioni finiti poi in nazionale come Lentini, Vieri, Cravero, Fuser, Dino Baggio e molti altri che hanno comunque svolto un’ottima carriera in serie A, come Ezio Rossi, Venturin, Bertoneri, Comi, Mandorlini, Carbone, Sclosa, Sordo, Cois.
«È stato l’allenatore italiano più avveniristico e visionario che abbia conosciuto – ha scritto di Vatta proprio Ezio Rossi, che dopo una buona carriera da calciatore è stato anch’egli allenatore – Anni dopo, in tanti lo hanno copiato. Tra la fine degli anni 70 e gli inizi degli anni 80 era all’avanguardia. Zona, preparatore atletico, lavori in palestra con pesi, psicologo, training autogeno dopo gli allenamenti e prima della partita. Il martedì riunione tutti insieme nello spogliatoio, prima del l’allenamento, per parlare di tutto meno che di calcio o della partita precedente, parlare di famiglia, di società, di sesso, di fidanzate, della vita di tutti i giorni insomma. Per crescere prima come persone normali, poi come calciatori. Se io sono cresciuto così e i ragazzi del Filadelfia sono stati quasi tutti prima uomini poi calciatori, è anche grazie a lui, che è stato una pedina fondamentale della nostra crescita».
L’esule istriano
Sergio Vatta era un uomo umile e riservato, poco propenso a esibirsi sotto i riflettori: ebbe anche una sfortunata esperienza in serie A quando, nel 1989, a poche giornate dalla fine si prese l’incarico di provare a salvare il Torino, sull’orlo della retrocessione. Una “mission impossible”, data la situazione tecnica e societaria, che Vatta intraprese per puro spirito di servizio, senza però ottenere il miracolo. Finita l’avventura rientrò nelle giovanili senza rimpianti: «Ritorno nel mio mare pulito», fu il suo commento lapidario.
Ma c’era un volto meno sconosciuto di Vatta, un’identità alla quale teneva fortemente. Costretto a lasciare la natia Zara quando era ancora bambino, il “mago” delle giovanili è stato per tutta la sua vita un instancabile animatore dell’Associazione nazionale Venezia Giulia e Dalmazia (ANVGD), sezione di Torino, di cui il fratello Antonio è tuttora presidente. Sergio Vatta sin dall’infanzia ha conosciuto il dramma dell’esilio e della povertà, vivendo per alcuni anni nelle “Casermette” che nel Dopoguerra erano state allestite nel capoluogo piemontese per ospitare migliaia di esuli arrivati dai territori occupati dalla Jugoslavia. “Per noi esuli, figli di un dio minore, la patria non è stata madre, ma matrigna”, spiegò alcuni anni fa in un’intervista. “Eppure sarei ancora disposto a morire per lei. Questo mi ha insegnato mio padre, prima di dividerci a Fiume”.
In ossequio a questi principi, Vatta una decina di anni fa si impegnò con altri esuli istriani e dalmati a far rinascere la gloriosa Fiumana, la squadra di calcio della città di Fiume che prima della Seconda guerra mondiale giocò anche nella Divisione Nazionale (l’attuale serie A); ma ben presto il sogno di tanti profughi e dei loro discendenti in tutta Italia si scontrò con ostacoli di natura economica e burocratica. E a tutt’oggi, purtroppo, non se n’è più fatto nulla.