
Cosa celebriamo il 2 giugno? La Repubblica, certo. Ma una celebrazione non è solo memoria di un evento che fu. Meno che meno è una cerimonia: i militari in alta uniforme, il trito discorso replicato negli anni con poche varianti, le frecce tricolori che solcano il cielo … No, celebrare vuol dire fare i conti con quell’evento, cioè capire cosa siamo oggi in relazione a quel fatto lontano, a quel colpo di carambola che esso diede alla storia patria provocando a sua volta altri moti più o meno consapevoli, più o meno fortuiti, più o meno prevedibili o inattesi.
La situazione di stallo
Guardiamoci attorno: come ci trova, quest’anno, il 2 giugno?
In parlamento abbiamo una maggioranza il cui nerbo è costituito da due partiti uno dei quali era nato per contestare l’altro, stanarlo e possibilmente distruggerlo. E ora tubano come colombi, anzi progettano di trasformare la loro alleanza in un matrimonio indissolubile. E questo parlamento dove si passa dall’odio all’amore, dall’amore all’amore eterno, si preoccupa oggi, più che di fronteggiare le conseguenza sociali ed economiche della pandemia, di varare una legge che ci impedirà di dichiarare in pubblico, come scriveva Chesterton, “che l’erba è verde”, e cioè che l’unica unione conforme a natura è quella fra un uomo e una donna.
Quanto al terzo potere, abbiamo imparato che la fortuna dei nostri politici non è determinata dai voti che raccolgono, ma dai conciliaboli fra magistrati e politici, così come lo sono le sentenze, o almeno parte di esse. Qualcuno potrebbe dire: – lo sapevamo già – ma un conto è saperlo per deduzione o per induzione, un conto avere sciorinate sulla stampa le prove del misfatto. Un tempo si diceva che i magistrati “non si sapeva neppure dove abitassero” per indicare la discrezione quasi sacerdotale della categoria. Ma era un tempo ormai tanto lontano, nonché famigerato.
Un’Italia sbrindellata
Intanto sotto l’effetto della pandemia vengono al pettine i nodi della architettura Stato-regioni introdotta negli anni della Repubblica ’72 – ‘77, quando fu gabellato quale esigenza di meglio soddisfare le esigenze del territorio il più prosaico interesse di moltiplicare le poltrone. Ed ora i regionali stipendifici invece di combattere uniti la pandemia rinfocolano antiche divisioni e ritorna il disprezzo del generale Cialdini contro il meridione, insieme al risentimento dei meridionali contro i “piemontesi” conquistatori. Da qui i divieti reciproci di passare la frontiera del Volturno: tutti contro tutti come ai tempi del brigantaggio. D’altronde lo dice anche l’inno nazionale: “Noi siamo da secoli/ calpesti e derisi/ perché non siamo popolo/ perché siamo divisi“. Buona festa della Repubblica.
*Consigliere comunale indipendente eletto a Saronno
Comunque Cialdini era modenese, non piemontese. Del resto, una sua rappresaglia ebbe luogo dopo che un gruppo di ‘simpatici contadini’ aveva ucciso ben 45 soldati regolari catturati!
…o doveva denunciarli al trisnonno di Palamara?
La magistratura dovrebbe essere il più apolitico e imparziale degli organi dello Stato, e invece è politicizzata, e questa cosa è un’eredità del Fascismo, caratteristica che con la nascita di questa repubblica delle banane di cui oggi se ne ricorda l’istituzione per l’esito del referendum-truffa, è stata mantenuta, malgrado i valori dell’antifascismo su cui la Costituzione e la medesima entità statuale si fondano. L’ANM, quando fu fondata nel 1909, era un semplice sindacato dei magistrati, poi quando fu sciolta nel 1925 dal regime fascista, poté esercitare la professione solo chi possedeva la tessera del PNF: era una dittatura e ci poteva stare, ma a 75 anni dalla fine del Fascismo è inconcepibile che faccia carriera solo chi appartiene alle correnti politiche (perché ricordiamolo è la politica che mette i magistrati dove si trovano, non il contrario, poi che la corrente con più adesioni sia la sinistroide Magistratura Democratica è un altro paio di maniche), mentre chi è indipendente e applica la legge per come è scritta e senza personali interpretazioni, no. Lo ha detto chiaro domenica sera a “Non è L’Arena”, quel magistrato mentovato da Guidobono e di cui da un paio di giorni si parla in continuazione.