1 Marzo 1938. Moriva Gabriele D’annunzio, il poeta guerriero che incendiò Fiume e l’Italia intera. Uomo di carne e di spirito. Amante delle donne, del buon gusto. Ardito sorvolava i cieli di Vienna avendo ben compreso l’importanza della propaganda di guerra. Avanguardista e libertario si cimentava nell’impresa di Fiume, fondando uno stato “universale” e sociale come prima non si era mai visto.
D’annunzio ed Alceste De Ambris. Lo scrittore e l’intrepido Guido Keller. L’uomo d’azione ed il samurai Harukichi Shimoi. Con il Vate il fior fiore della vivacità dell’epoca nel più grande esperimento mai visto fino ad allora, che per molti versi anticipò il ’68. La delizia fiumana come una stella abbattuta dai cannoni borghesi ed affogata nel Natale di sangue.
Nel vittoriale l’idea del gusto e di ricercatezza che si fa materia, l’eccellenza come scopo di una vita favolosa e inimitabile. Lo stile che è “potenza isolatrice”.
D’Annunzio. Una vita, un’opera d’arte.
“Tutto fu ambito e tutto fu tentato. Quel che non fu fatto io lo sognai e tanto era l’ardore che il sogno eguagliò l’atto.”
Giorgio Mari
Corridonia (MC)
Al Liceo ginnasio Cicognini di Prato, dove anche io ho
indegnamente studiato, alla fine degli anni settanta quasi tenevano nascosto il fatto che un tale artista si fosse formato in quelle aule. Ricordo di aver letto per la prima volta La pioggia nel pineto nell’inchiostro violetto di un ciclostile consegnatoci dalla volonterosa insegnante di lettere, che non lo amava ma si rendeva conto di quanto fosse parte della recente storia d’Italia. Quella sinfonia pagana è diventata da allora per me fonte inesauribile di bellezza.e di armonia.
La successiva scoperta del soldato e del politico d’avanguardia completarono il quadro di un uomo inimmaginabile in questi tempi assurdi.