Un tramonto dolce di inizio primavera accompagnava l’arrivederci, che in realtà era un addio, ad Azeglio Vicini, 7 marzo 1993, stadio di Cesena. In venticinque anni non ci saremmo mai più incontrati. Vicini era stato il commissario tecnico di Italia ’90, l’ultimo momento di unità vera, nel football e nella società. Quella Nazionale è stata capace di coinvolgerci ed entusiasmarci, al di là di gioco e risultati. Neanche quella di Berlino 2006 c’è riuscita. Mai canzone, come quella di Giannini-Bennato, ha mantenuto le promesse. Le “Notti magiche” le vivemmo veramente. E la finalina di Bari per il terzo posto con l’Inghilterra si trasformò in una festa popolare.
Vicini aveva concluso la sua avventura da c.t. il 12 ottobre 1991 a Mosca contro l’URSS. Rizzitelli colpì il palo: niente Europeo in Svezia. Il presidente della Federcalcio Antonio Matarrese non aspettava altro. Voleva cambiare linea, ingaggiando un allenatore di club: Arrigo Sacchi. Nel marzo del ’93 gli chiesero di salvare il Cesena, serie B, bassa classifica. Lui, nato in quelle campagne, non era e non fece lo snob. Si buttò nella mischia, si beccò gli insulti. Il c.t. delle “Notti Magiche” era diventato un nemico.
Non se la prese. “Ho avuto tutto dalla vita” commentò con quel paio di giornalisti arrivati a raccontare lo strano esordio. Poi, sottovoce, sussurrò: “Non scordatevi del Cesena… e di me”. E’ stato il calcio a farlo.
Ricordo ancora la prima volta che gli telefonai a casa. Un’altra vita rispetto ai brontolii di Bearzot. Azeglio fu evasivo come il “vecio”, ma cordialissimo. Vicini prendeva la vita con allegria. Come quella leggendaria trasferta per un’amichevole con l’Austria al Prater, il Sabato Santo del 1989. Rimanemmo a Vienna dal giovedì al martedì successivo. Nessun allenatore si era mai sognato (né lo avrebbe mai permesso in seguito) un viaggio così. Uno spasso.
A parte un anno al Brescia, terminale della sua carriera di calciatore, quell’esperienza al Cesena e poche domeniche all’Udinese, la sua carriera da tecnico è trascorsa in Federcalcio, 1968-1991. Avevamo una vera e propria scuola per gli allenatori federali. Abbiamo buttato pure questa.
Azeglio prese il posto di Enzo Bearzot dopo Messico ’86, dove il “vecio” pagò la riconoscenza al gruppo del Mundial 1982, ormai logoro. Azeglio era più flessibile: a Italia ’90 lanciò Totò Schillaci (e Baggio).
Solido nelle idee, non difendeva il gioco all’italiana contro la zona. E’ stato iellato, anche nella vita: una volta cadde dal balcone di casa e venne salvato dalla tenda del bar sottostante. Ha vinto meno di quello che avrebbe meritato. Lo tradirono i fedelissimi dal dischetto, nella finale Under 21 persa con la Spagna (1986) e nella semifinale Mondiale a Napoli con l’Argentina. Senza parlare della sciagurata uscita di Zenga su Caniggia.
Nel 1988 si era qualificato agli Europei in Germania dove incappò, in semifinale, nell’armata rossa del colonnello Lobanowski. Pochi hanno sottolineato che l’Italia, prima di lui, aveva partecipato solo quando li aveva organizzati. Non amava le polemiche e quando discuteva era sempre pacato. Ah, quella volta a Cesena, ci offrì pure il pranzo. No, non ti dimenticheremo, Azeglio.
*da La Gazzetta di Parma