Se Edin Dzeko se ne va, non succede niente. Niente, nel senso che la Roma non può legittimamente sperare di poter ambire a grossi obiettivi. E, anzi, dovrebbe trovare la sincerità per dichiarare ai tifosi l’intenzione di “normalizzarsi”, di rientrare in fascia media di A.
Dzeko è forte, non sarà Ibrahimovic dei tempi belli ma in questa Roma fa la differenza. E lui, che non vorrebbe lasciare il Colosseo, fa benissimo a rivendicare le decine di gol e di assist che ha segnato e distribuito in questi anni di militanza giallorossa. Ancor più importanti perché Edin, dopo un inizio catastrofico, roba da rievocare lo spettro inquietante di Renato e i suoi fratelli bidoni, s’è ritagliato un ruolo fondamentale e ha fatto ricredere tutti (compreso chi scrive) sul suo valore.
Se Pallotta e Monchi dovessero spingere ancora, dovessero, alla fine della fiera triste del calciomercato italiano, convincere il centravanti a tornarsene in Inghilterra dimostrerebbero che la Serie A non può ambire a uscire dall’angolo provinciale cui s’è condannata da sola negli ultimi anni.
Dopo aver ceduto Salah al Liverpool, litigato con Naingolaan (che ha mercato ovunque), lasciar andare Dzeko ed Emerson significa che la politica societaria della Roma è uguale a quella di un’Udinese qualsiasi (detto con il massimo rispetto), con Totti al posto di Di Natale. E una differenza sostanziale: spararla grossa, a fissare obiettivi importanti, perché altrimenti i tifosi non staccano biglietti né sottoscrivono abbonamenti Tv. Con il rischio di frustrare la piazza, già ipersensibile e delusa da anni di trionfi solo accarezzati.