Le prime elezioni delle 15 regioni a statuto ordinario si svolsero nel 1970, con molti anni di ritardo rispetto a quanto previsto dalla Costituzione. Il MSI fu contrario alla loro istituzione. Credo che ci avesse visto lungo: allo stato attuale le regioni hanno di fatto creato una grande disparità di trattamento tra i cittadini italiani di uno stesso stato, che risiedono in regioni diverse.
Prima delle regioni esistevano infatti già i comuni e le province. Il cittadino aveva due riferimenti territoriali, sarebbero stati sufficienti. Un discorso a parte meritano le 5 regioni a statuto speciale: a tanti anni dalla promulgazione della Costituzione non capisco più la loro utilità. Basterebbe tutelare legislativamente le minoranze linguistiche, che peraltro in Italia sono ampiamente tutelate. I costi della macchina politica regionale, ordinaria e speciale, sono notevolissimi; il risparmio che si potrebbe ottenere con la loro cancellazione già di per sé sarebbe una valida motivazione. Abbiamo poi nell’attuale ossatura amministrativa periferica italiana un ente depotenziato, la provincia con un presidente eletto dai sindaci dei comuni del territorio. Il cittadino non elegge più il presidente e i consiglieri della propria provincia. In ogni provincia c’è però anche un prefetto, che rappresenta l’autorità di governo. Il “doppione” era stato evitato durante il periodo della RSI quando il prefetto era divenuto Capo della provincia. Va detto che il Capo della provincia era al tempo stesso la massima autorità amministrativa e politica, assommando in sé anche la carica di Segretario federale del PFR. Lasciamo però la storia agli storici, possibilmente depurandola da ogni pregiudizio politico. Tornando ai giorni nostri credo che sia un momento di vera democrazia la libertà di ogni cittadino di poter ragionare pure sui temi che riguardano la struttura centrale e periferica del proprio stato, anche senza essere costituzionalisti.
@barbadilloit