E se Claudio Ranieri, in fondo, se la fosse andata a cercare? Il campo non mente mai, lo fanno i calciatori, le società e i loro megafoni. Ranieri avrebbe dovuto lasciare al top, carico di onori e ritirarsi in campagna e magari insegnare ai ragazzini o scapparsene in Cina a fatturare (da solo) più milioni del Chievo Verona.
Ma andiamo per ordine, adesso che qualche giorno è passato e si può analizzare con più freddezza quanto è avvenuto sotto il cielo di Leicester.
Ranieri è fuori perché la squadra rischia la retrocessione, prende mazzate in Fa Cup contro il tignoso Millwall (con tanto di polizia a cavallo in campo) e fa brutte figure in Europa. Il sor Claudio der Testaccio è precipitato nella sindrome di Bearzot, magnificamente spiegata qualche anno fa da Marcello Lippi, altra vittima eccellente dello stesso dramma. Quando cogli un risultato eccezionale (tipo vinci un mondiale con l’Italia mentre il tuo campionato è sconvolto dagli scandali, come nell’82 e nel 2006) finisce che non riesci a tenere sempre i piedi per terra e incocci in figuracce clamorose (Messico ’86 e Sudafrica 2010, ricordate?). Sei riconoscente ai tuoi calciatori, a questi quattro scalzacani della vigilia che alla fine dei giochi si impongono al mondo come campioni e ti spediscono dritto al Valhalla dei grandissimi condottieri.
Esempio che chiarirà tutti i dubbi: il 22 maggio del 2010, al Santiago Bernabeu, l’Inter vince la Champions League. Il trofeo più ambito che incorona una stagione eccezionale per i nerazzurri, quella del Triplete. Ma José Mourinho, dopo aver alzato la Coppa, non parte con la squadra e rimane a Madrid. Per una nuova avventura. Avidità di denaro? No, voglia di non doversi confrontare in eterno con il fantasma di se stesso, volontà di non essere un allenatore a metà che, magari, non potrà spedire in panchina Materazzi contro il Catania perché gli ha regalato vittorie inenarrabili.
La sindrome di Bearzot, in Ranieri, si è mostrata in profondi sintomi. Non riesci a rinunciare a Vardy, non riesci a imporre allenamenti più duri a Drinkwater, non riesci a pigliare a sacrosantissimi schiaffoni il desaparecido Mahrez. Anzi, ti trovi pure questi ragazzetti che fanno i complotti nello spogliatoio, si abboffano di pudding e birra come l’ultimo degli avvinazzati delle Midlands. Tu gli vuoi troppo bene, a questi stronzi per pigliarli a calci come avrebbero meritato. E poi, alla fine, te li vedi pure a fare i messaggi e le lettere strappacuore.
Inutile girarci attorno. Il Leicester non ha più niente di romantico, niente. La società (che burloni, loro) ha pensato di potersi confermare ad altissimi livelli facendo cassa con Kanté e non comprando praticamente nessuno. Si sono goduti i clamorosi incassi dovuti alla passione dei tifosi gonzi (tra cui, primo, chi scrive) che hanno intravisto nella vittoria in Premier dello scorso anno il riscatto del pallone d’una volta contro le multinazionali del calcio.
L’epopea di Ranieri a Leicester meritava ben altra fine.