La forza immateriale delle radici carica la mano di Davide che abbatte Golia. L’impresa dell’Athletic Bilbao all’Old Trafford (2-3) contro il Manchester United, nella gara d’andata degli ottavi di Europa League, ha acceso le luci dei riflettori sul modello calcistico basco, un club che non ha giocatori stranieri e fonda il suo “organico” su elementi cresciuti in Euskal Herria. Giovedì nel ritorno al San Mamés, la favola si è compiuta: 2-1 per i leoni contro i Diavoli Rossi, eliminati contro ogni pronostico.
Nella Spagna del fenomeno Barcellona, costruito sui talenti sfornati dalla Cantera catalana, la squadra allenata dal visionario Marcelo Bielsa rappresenta una alternativa coraggiosa nell’era della globalizzazione. L’integrità etnica, mitigata dalla presenza di tesserati “non baschi” cresciuti nelle giovanili, e di baschi nati all’estero (il caso del centrocampista Amorebieta, nato in Venezuela), non deve però essere intesa come identità chiusa, ma come affermazione di una cultura, espressione di un territorio e di una tradizione, attraverso lo sport.
Il giornalista Simone Bertelegni, nel saggio edito da Bradipolibri “L’utopia calcistica delll’Athletic Bilbao”, ritiene il club dei Leones “un’anomalia, o meglio un’isola felice nel panorama calcistico europeo. Un modello sportivo, gestionale ma al contempo sociale e persino culturale che ha evitato ai suoi tifosi dolori e/o umiliazioni patiti da tanti altri calciofili, soprattutto in Italia, a causa di mercenarismo diffuso, incapacità di valorizzazione dei vivai, scandali e crack finanziari, corruzione, svuotamento e deterioramento degli stadi, violenza”.
Nel sito ufficiale, www.athletic-club.net, nella storia della società – l’unica insieme a Real Madrid e Barcellona a non essere mai retrocessa nella seconda divisione iberica – si sottolinea in pieno la “filosofia differente” che sottende il progetto sportivo e calcistico. La scuola nella quale sono allevati i funamboli pallonari baschi è il Lezama, il centro nel quale sono selezionati i gioielli nati nelle sette province basche (quattro in Spagna, tre in Francia). Da qui arriva l’ossatura della formazione che ha sorprendentemente demolito in trasferta i Diavoli Rossi di Ferguson, con ben ottomila sostenitori baschi sulle tribune (c’erano anche quattro italiani del “Leones italianos”, il club che raccoglie gli appassionati dell’Athletic nello Stivale). L’età media degli eroi della gara in Inghilterra – il Manchester United, negli ultimi 7 anni, aveva perso tre sole volte in casa, in Europa: con il Milan nel 2005 e il Besiktas nel 2010 e con l’Ajax negli ultimi sedicesimi di Europa League – è di ventiquattro anni: Aurtenetxe e Muniain, quest’ultimo autore di un gol a De Gea, sono addirittura del 1992, mentre solo il portiere Gorka Iraizoz e il terzino Iraola sono vicini ai trenta.
Il ruolo di Bielsa
Massimo Moratti l’avrebbe voluto all’Inter e probabilmente avrebbe evitato nel difficoltà riscontrate con Gasperini e Ranieri: il regista del progetto Athletic Bilbao è l’allenatore argentino Marcelo Bielsa, soprannominato per il suo carattere forte “El Loco”. I risultati sono realizzati grazie ad una interpretazione offensiva estrema del modulo 3-3-1-3 e non è casuale che i Leones siano in finale di Coppa del Re e pienamente in corsa per un piazzamento valido per l’Europa nella Liga. Tra le stelle brilla Fernando Llorente, pilastro e gigante – è alto un metro e novantacinque – anche della nazionale di Del Bosque: tra campionato e coppe ha segnato ben 22 reti in 37 partite. E nella nazionale maggiore ci sono anche, oltre al bomber anche Iraola, Javi Martinez e la rivelazione Muniain.
Bilbao nuova Sparta?
“C’è un club dove i giocatori non sono stati comprati, sono stati fatti. Ogni anno 350 ragazzi combattono per raggiungere San Mamés. Solo 11 diventeranno i leoni dell’ Atletico. Non è un mito. E’ Lezama”: questo è lo slogan della campagna pubblicitaria con cui a Bilbao si “arruolano” i talenti del settore giovanile, con forti richiami alla retorica spartana. Non a caso le immagini scelte a corredo di questa reclame, come spiegato dalla fanzine strabello.it, constano di tre fasi: “il battesimo”, nel quale i giovanissimi sono presentati al simbolo della città, “l’allenamento” per forgiarsi sul piano spirituale e tattico, e “la consacrazione”, passaggio con il quale i guerrieri-calciatori sono accettati dal resto della città come loro pari. La tifoseria dell’Athletic ha una forte rivalità con il Real Madrid, icona del centralismo statalista instaurato con Francisco Franco: il club sportivo, però, consente di declinare con la sua forte identità autoctona le ragioni culturali che sostanziano l’ansia irredentista nelle terre basche, con uno stile che non ha nulla in comune con gli eccessi di formazione politiche indipendentiste e la violenza delle formazioni terroristiche dell’Eta. Ci sono anche, con poco seguito, piccoli gruppi ultras, gli Herri Norte (dal settore della Catedral, lo stadio di San Mamés, nel quale sono posizionati), ma non godono di grande sostegno perché accusati di voler contaminare la passione sportiva con ideologie politiche.
Lo sponsor sulle maglie
Fino al 2008 l’Athletic non ha avuto alcuno sponsor sulle maglie: adesso ha ceduto a questa tendenza per motivazioni di bilancio, grazie all’intervento della compagnia petrolifera Petronor che sostiene con stanziamenti ingenti l’attività sportiva del club.
* articolo pubblicato dal Secolo d’Italia, nella rubrica Secolo Sportivo, il 13 marzo e aggiornato il 15 dopo il passaggio del turno dell’Athletic Bilbao