Raccontano gli annales del pallone che quando arrivò a Roma, Falcao fu a un passo dal raggelarsi. I campioni veri hanno un sesto senso, specialmente quelli che sono dei vincenti naturali. E lui capì subito il difetto genetico del calcio giallorosso. Un vizio, culla di cento autoassoluzioni e mille mali, la dolcissima irresponsabilità del mancare il passo decisivo. Un vezzo che tanti, troppi fegati romanisti ha irrimediabilmente rovinato che si può riassumere in una sola parola: Rometta.
Il pareggio con il Cagliari dimostra, quale prova del nove ineccepibile, che la Roma ha cominciato malissimo. Ma non è questione di oggi, quando il gioco si fa duro, semplicemente, i giallorossi si squagliano. E la mala mazzata pigliata a domicilio dal Porto (che non è esattamente il Real Madrid) lo dimostra.
Non è questione di singoli, nè di squadra ma di mentalità. Ci vuole uno choc e l’unico possibile sarebbe l’addio al calcio di Francesco Totti e magari la cessione di un altro paio di senatori. Ma questo non si può fare. E ciò lo dimostrerà gli insulti che state pensando e di cui magari mi onorerete.
(A proposito, intendiamoci bene: purtroppo Pallotta non mi paga per questo che ho appena scritto ma se volesse, un bonifico lo accetterei volentieri)
Sono invece innamorato di Sinisa Mihajovic. Sono cotto, stracotto, perso. E sono convinto che il suo Torino darà soddisfazioni grandi e meritate a una tifoseria che da troppi anni vive sull’altalena delle emozioni e delle bestemmie. È sangue e arena, il Toro di Miha. Ha schiantato il Bologna, ha combattuto contro il Milan di Montella e se Belotti imparasse a segnarli i rigori magari si starebbe parlando di altro avvio.
Ljalic ha finalmente l’occasione della vita: o diventa grandissimo oppure dovrà decidere di trovarsi un altro lavoro. Cinico, baro e affascinante il destino degli slavi, o tutto o niente. Sinisa, che dei balcanici in Italia è totem più che decano, può trasformare un ragazzino impertinente in un campione.
Ho visto il secondo tempo di Napoli-Milan, giusto il tempo della rimonta rossonera e della conseguente dèbacle. Suso ha fatto un gol che non ingarrerà mai più in vita sua. Bellissimo, praticamente senza guardare la porta. Niang, quando ci si mette, è un demonietto scatenato. Poi c’è Gino Donnarumma a cui solo l’incoscienza della sua splendida minore età gli consente di restare a volare tra i pali come un pazzo scatenato mentre davanti a lui c’è praticamente il vuoto cosmico. Passare da Tassotti-Maldini-Baresi-Costacurta a tre, quattro comparsine piazzate dietro dicono sia il karma, a proposito di Asia padrona.
E già che ci si trova, due gol come quelli di Arcadio Milik non si vedevano dai tempi di Gerd Muller. I pregiudizi sulla scuola Ajax mi avevano indotto a credere che a Napoli fosse arrivato un airone d’attacco, elegantissimo, magari troppo fragile e sofisticato. Manco per il Gonzalo, il primo gol è da flipper, il secondo – colpo di faccia su calcio d’angolo – è da sballo. Feroce, ferocissimo. Se s’affama come Mertens e Callejon è (quasi) fatta. Ma chi si illude di aver archiviato la questione attaccante a Castel Volturno è complice.
Della Juve non c’è manco la voglia di parlarne. Troppo, troppo, troppo. È monopolista della Serie A, ancora una volta. Citofonare Khedira (con tanti saluti a Pogba).