“Io credo che ciò che conta nella vita sono i fatti. La mia vita parla per me”. Paolo Di Canio non ha nel suo vocabolario il verbo “to badogliate”. Non ha nulla da rinnegare. Nessuna abiura per il neo manager del Sunderland che ha così spento, nella conferenza stampa ufficiale di presentazione, la tempesta in un bicchier d’acqua scatenata dall’ex ministro laburista David Miliband, dimessosi da vicepresidente del club “alla luce delle vecchie dichiarazioni” politiche dell’ex laziale. Del resto Miliband è solito lanciare la spugna: pochi giorni prima si era dimesso da parlamentare per andare a dirigere una ong a New York.
Di Canio, ingaggiato dal Sunderland per l’ultimo spezzone di stagione, non ha ritrattato i giudizi storici espressi in passato sulla destra e sul fascismo, ma ha chiesto di essere giudicato per i risultati sportivi: “Quando mi hanno chiamato ho sentito il fuoco in pancia e sarei venuto a nuoto fin qui per assumere questo incarico – ha raccontato -. Con la mia energia sono certo che possiamo fare qualcosa di buono nelle restanti sette partite. Spero che il mio modo di intendere il calcio restituisca fiducia alla squadra. I giocatori devono lottare per la maglia, sudare e versare sangue per il club. È importante che i tifosi siano felici della propria squadra e spero di riuscirci. Tutti lavoreremo per ottenere lo stesso obiettivo. Ma adesso voglio fare un passo alla volta, e pensare al Chelsea”. Di contro bisogna tenere conto che il calcio inglese è attraversato da una costante ipersensibilità per il politicamente corretto che avrà anche radici storico-culturali, ma nel caso in questione appare plausibile una strumentalizzazione per secondi fini (visibilità politica) della biografia dell’allenatore romano.
Qualche anno fa l’ex campione di Juventus, West Ham e Lazio si è così definito: “Deve essere la coerenza la mia vera colpa. Una coerenza nei confronti di idee scomode per tanti. Altrimenti non capisco perché io dovrei essere il Male mentre giocatori che non prendono posizioni e poi si schiantano ubriachi contro un cassonetto sono solo “giovani protagonisti di una bravata”. Io sono di destra, destra sociale per l’esattezza, ma al contro di quello che può pensare la gente schiava di una comunicazione corrotta e inquinata non vado in giro con il bastone a picchiare le persone di colore. Conosco tanta gente con la pelle diversa dalla mia, ho vissuto otto anni in Inghilterra che è uno dei paesi più multietnici del mondo, non posso essere razzista. Io sono un buon marito, un padre attento, un uomo rispettoso del prossimo e un grande lavoratore. E sono di destra. Per l’opinione pubblica invece sembra che le mie ideologie contino più della mia onesta condotta morale. Me ne frego. Io non ho mai fatto nulla di cui le mie figlie possano vergognarsi e credo che questo sia più importante di ogni altra cosa”.
Sulle idee di Paolo Di Canio si espresse così Sandro Curzi, giornalista comunista, storico direttore del Tg3 ai tempi definito TeleKabul: “Di Canio non ha mai fatto mistero delle sue convinzioni politiche, e io apprezzo sempre chi si schiera apertamente e non nasconde le proprie idee. Piuttosto mi sembra che tutto quello che faccia venga sempre troppo criticato e censurato. Ognuno fa il saluto che vuole, l’importante è che sia una persona leale”.
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