Pensi alla partita di calcio più bella mai giocata a memoria d’uomo e ti viene in mente l’Azteca di Città del Messico, Italia – Germania Ovest 4 a 3. Pensi a quei fotogrammi di quasi 43 anni fa e ti rimbalzano in testa la staffetta Mazzola-Rivera, la potenza di Gigi Riva, il ‘tradimento’ di Schnellinger, la frustrazione di Enrico Albertosi, la rivincita di Burgnich, il cinismo di Gerd Muller, l’eleganza e la tenacia del ‘kaiser’ Beckenbauer. Il motore di quella squadra era una trottola, un ‘picchio’ romano che finì per far innamorare di sé tutta Firenze, che adesso si appresta a compiere settant’anni: Giancarlo De Sisti. Era anche lui in campo, quel giorno, contro i panzer teutonici. A dettare ritmi e geometrie a centro del campo. Ma si sa, la maledizione della ‘vita da mediano’ non è solo un’invenzione di Luciano Ligabue.
Dici De Sisti e ti viene in mente la ‘Viola’. Ci vinse lo scudetto, con la maglia della Fiorentina (era il campionato di grazia 1968-69), regolando il Cagliari di Riva e Boninsegna. Era il secondo tricolore viola dopo quello conquistato nel 1956. Ancora più bello perché completamente inatteso.
Stava per regalarne un altro, di scudetto, ai tifosi viola: era il 1981-82 e, stavolta in panca (aveva abbandonato il calcio solamente tre anni prima, nel 1979), seppe condurre la formazione gigliata – nella quale militavano campioni affermati o che quell’anno conseguirono la loro consacrazione come l’argentino Daniel Bertoni, il centrocampista Eraldo Pecci, la punta Ciccio Graziani accanto a giovani talenti assoluti come Daniele Massaro, Pietro Vierchowod e quel genio inespresso di Paolo Monelli e che doveva far fronte alla lunga assenza per infortunio del capitano Giancarlo Antognoni -, a vincere il titolo di campione d’inverno. Poi, nel girone di ritorno, i viola dovettero arrendersi all’arrembante ritorno della Juventus perdendo il terzo scudetto e cementando così un odio sportivo mai sopito proprio nei confronti della Vecchia Signora.
Allenò il ‘tacco di Dio’ Socrates nell’ultima stagione in viola. Quell’anno la Fiorentina si impantanò e Picchio De Sisti dovette lasciare il posto in panca a Ferruccio Valcareggi, proprio lui, il ct della ‘sua’ nazionale dell’Azteca. Da allora, dopo alcune brevi e poco entusiasmanti esperienze in giro per l’Italia, De Sisti è entrato nel ‘giro’ della federazione e, da qualche anno, è tra gli ambasciatori di lusso del calcio italiano. E oggi a 70 anni unisce Firenze e Roma, nel nome di quel pallone signore e mai tronfio, agonistico e incazzato, morigerato e mai bigotto di cui oggi si sente una tremenda mancanza.