Tutta l’Africa in una Coppa. Suggestioni, bellezze ed epica sportiva del Continente Nero in una kermesse, a compensare un tasso tecnico (ma soprattutto tattico) che non è stato certo elevatissimo. Secondo gli osservatori più smaliziati sarebbe proprio quest’ultima caratteristica a rendere la Coppia d’Africa così imprevedibile, capricciosa, aperta alle sorprese fino all’ultimo minuto. Ma non poteva essere altrimenti: è ben poco probabile che la massima rassegna calcistica non rifletta i caratteri della storia recente dell’Africa: l’eterna precarietà, l’instabilità endemica, la soggezione al fato ed alle angherie dei potenti.
L’edizione svoltasi in Sudafrica l’ha vinta la Nigeria; dopo quasi vent’anni d’attesa le Aquile Verdi hanno riportato a casa il massimo riconoscimento continentale facendo svanire in finale la favola della ‘Cenerentola’ Burkina Faso, più forte dei pronostici, più forte dell’arbitraggio scandaloso del tunisino Jedidi, peggiore del ridicolo Byron Moreno. Infatti gli Stalloni burkinabè, nonostante un rigore inventato contro, l’espulsione pilotata del funambolo Jonathan Pitroipa – centrocampista che gioca in Francia nel Rennes -, hanno matato ai rigori, in una semifinale che sapeva di storia, il quotatissimo Ghana, che quest’anno ha incarnato alla perfezione il ruolo del ‘cattivo’: borioso, antipatico, altezzoso e ‘aiutato’.
Doppia soddisfazione per il Burkina Faso che non solo hanno affondato la corazzata del torneo con tutto il supporto dell’aviazione arbitrale ma hanno pure vendicato pure l’altra sorpresa del torneo, gli Squali Blu di Capo Verde allenati dal ct Antunes, uno che prima di scegliere la formazione da mandare in campo chiede consiglio direttamente a Josè Mourinho. Le Black Stars ghanesi, esorcizzate, hanno pure dovuto cedere in finalina: terzo posto ai ragazzi del Mali, mentre in Patria precipitano le bombe. Anche questa una bella favola.
Tornando al calcio, la notizia sta nel fatto che nel potpourri di selezionatori stranieri, missionari della pedata e improbabili letture post-moderne del ‘Metodo’ danubiano o del W-M di antidiluviana memoria ( il 4-1-4-1 in salsa maliana più che un modulo è sembrato un numero di telefono dettato a metà..) sia stato un allenatore africano ad imporre il suo pensiero ed a vincere. Il ct Stephen Kenshi, chioccia della Nigeria, ha portato la sua squadra a vincere la Coppa d’Africa e poi si è tolto pure lo sfizio di dimettersi. Che sberla in faccia ai suoi detrattori, come gli esterofili ad oltranza. Però Kenshi, che non è un Maramaldo aduso ad uccidere uomini morti schiacciati dal peso della loro stessa supponenza, è tornato subito al timone della squadra. Detto ciò, la vittoria del mister africano ha un che di innovativo nel calcio locale. Segno che in fondo, gli oltre trent’anni trascorsi dall’arrivo dei primi calciatori coloured in Europa (ve lo ricordate Francois Zahoui – Zigulì – nell’Ascoli di Carletto Mazzone?) non sono trascorsi invano.
@giovannivasso