SuperMario, il ritorno del cannibale che deve decidere che cosa vuole fare da grande. E come vuole farlo. La spettacolare rentrée a San Siro di Balotelli – stavolta con la maglia della sua squadra del cuore, il Milan – è da incorniciare: due gol (e ne avrebbe centrati altri se non ci fosse stato quel guastafeste di Padelli in porta per l’Udinese), tagli, passaggi, contrasti: stadio in delirio, tifosi deliziati e patron Silvio Berlusconi a sguazzare nel suo brodo di giuggiole. E per non farsi mancare niente baci e abbracci con l’altro puntero rossonero Stephen El Sharaawy e dichiarazioni nel dopo gara che più sobrie non si può.
Forse Balo ha capito che adesso si gioca le carte per entrare nell’Olimpo dei grandi del calcio: può diventare una delle leggende del pallone e può farlo solo adesso. Non perché ha un indiscutibile talento, nemmeno perché si è tentato di farne un simbolo più o meno politico senza mai chiedergli cosa ne pensasse lui: molto più semplicemente Mario indossa la maglia della sua squadra del cuore, è tifoso prima che calciatore e deve dimostrare agli altri milanisti di essersi meritato l’onore di indossare i propri colori. E’ una fortuna mica da poco, che ti dà una responsabilità tale da far tremare i polsi a chiunque. E se poi i sostenitori dell’Inter – che pure l’ha lanciato nel firmamento del calcio – si arrabbieranno quando esulterà segnando nel derby, chissenefrega… Non per loro, sia chiaro, ma veder gioire Balotelli potrebbe dare una scrollata all’ipocrisia imperante nel mondo dorato della pedata. In fondo, dal ‘45’ del Milan tutti si aspettano qualcosa. E Mario potrà diventare davvero grande se sarà capace di mantenere intatto il suo talento, senza perdersi nei circoli viziosi della Milano da bere, e se sarà in grado di preservare la sua indole ribelle, evitando di bollirsi il cervello in quei moduli prestampati “sportivamente corretti”– risalenti alle corse delle bighe al Circo Massimo – che sono diventate le dichiarazioni pre-post (e pure durante) partita, se riuscirà a stare lontano dalle cose senza senso che lo star-system patinato quanto parassitario impone a personaggi come lui. Ci hanno provato già a bruciare Antonio Cassano (un altro che adesso veste la maglia che sognava da bambino, quella dell’Inter), sono riusciti a smontare Adriano e Christian Vieri. Il gol più importante, Balotelli, dovrà farlo contro chi lo vuole personaggio (buono per le riviste scandalistiche, ovviamente) più che calciatore. Se poi riuscirà a dare senso alla sua esuberanza fuori dal campo, si trasformerà in una leggenda del calcio. Ma Super Mario sappia che George Best, Johann Cruyff, Socrates, Paul Breitner, Ferenc Puskas oppure il perugino Paolo Sollier ed il laziale Paolo Di Canio – tanto per rimanere in casa nostra – hanno scelto loro cosa diventare. In piena libertà, senza ‘suggerimenti’, nel bene e nel male. Talvolta loro malgrado, perché si trattava di cose, per loro, completamente naturali. Come il talento e la voglia di dare calci ad un pallone, meglio ancora indossando la maglia della squadra del cuore.
Per questo motivo lasciate anche a Balotelli la possibilità di incassarsi le sue bordate di fischi dalle curve di mezz’Italia. Non sono razzisti, sono solo avversari. Se si saprà essere bandiere non si può essere amati per forza, magari per decreto: specialmente se mi fai gol contro e se hai qualcosa – di tuo – da dire. E questo è il calcio.