È impressionante come l’amnesia colpisca qualche giornalista dei grandi media. Scrive infatti Alessandro Barbera a proposito di George Soros, il famelico finanziere: «L’ultima volta – e forse l’unica – in cui ha pensato di scommettere sull’Italia risale al 2008, quando la famiglia Sensi decise di rinunciare al controllo della Roma». Fantastico, come cancellare l’attacco che Soros scatenò contro la lira nel 1992, quando il finanziere, per sua stessa ammissione (anzi se n’è sempre fatto un vanto), si arricchì moltissimo con un’operazione che all’Italia costò, grazie alle follie di Azeglio Ciampi, qualcosa come 60mila miliardi di lire. Ciampi all’epoca era il governatore della Banca d’Italia e Soros intascò, forse, 15mila miliardi di lire.
Non male per uno che non ha mai scommesso sull’Italia. E che ora torna alla carica. Non per le sue iniziative filantropiche – sempre ricordate dal quotidiano della famiglia Elkann-Agnelli – ma per investimenti. Magari partendo dalle banche. Tanto solide e sicure, secondo le dichiarazioni ufficiali dei nostri istituti di credito, tanto bisognose di capitali freschi, secondo il finanziere. E ha sicuramente ragione lui. Mps ha bisogno di un monte non di paschi ma di miliardi di euro, e cercan denari anche Carige, Bpm ed altri ancora. Ma serviranno capitali anche per fronteggiare le sofferenze, i crediti inesigibili, i crediti deteriorati.
Di sicuro il nuovo governo sembra rassicurare Soros e l’alta finanza: “Qualcuno – scrive Barbera su La Stampa – lo chiamerà subito effetto fiducia o effetto Renzi, il segno che la crisi è davvero alle nostre spalle”.
Questo è il prodotto della crisi ha prodotto. Le banche si sono riempite di alloggi dei tanti italiani che non potevano più pagare i mutui. E non sanno cosa farne, considerando la crisi del mattone provocata dalla povertà dilagante e dalle folli tasse sulle case.
Soros, dunque, è pronto come un avvoltoio che aspetta di divorare il cadavere. Convinto che, di cadaveri, ce ne saranno tanti. E lui prenderà tutto a prezzo di saldo. Con i peana dei servi sciocchi dei giornali, convinti che svendere l’Italia sia un segno si rafforzamento e di sviluppo. Non solo banche, in svendita. Stanno diventando stranieri, uno dopo l’altro, tutti i principali marchi del made in Italy. Ceduti da imprenditori italiani troppo vecchi per proseguire e senza eredi in grado di ereditare in modo utile le aziende. Una classe dirigente e padronale in dissolvimento, giustamente preda di avvoltoi che si cibano di cadaveri.