Il destro, a incrociare. La palla che rimbalza carica d’effetto, gira oltre le mani del portiere che più disteso non si può, accarezza il palo, entra. Fin qui il gol, bello e un po’ possibile. Soprattutto decisivo. Ma è il resto – tutto il resto – il centro della discussione. E’ Ciccio Montervino, l’argomento. La sua esultanza spaccona, il sangue impazzito, quell’esplosione di nervi: petto in fuori, ostentazione di fierezza, e urlo selvaggio dinanzi ai tifosi avversari, a casa loro.
Insulti. Sputi. Da una parte e dall’altra. Incidenti. Sei turni di squalifica. Due anni di Daspo. Dibattito.
Aversa-Salernitana, decisa dal mediano di Taranto. E’ già un groviglio: un tarantino che fa vincere la Salernitana, occasionalmente dimentico di rivalità e scontri del passato nemmeno tanto lontano. Che segna ed esulta (perché quando si segna, si esulta: le facce tristi di quelli che vogliono rispettare chissà che sono recite malfatte, e il calcio non conosce pietà). Troppo, esulta. Corre dai tifosi avversari, si arrampica sulla rete di recinzione. Risponde ad insulti con insulti, a sputi con sputi. Senza indugi: la provocazione è sua. Senza tentennamenti: è però una reazione (lo dice persino il Giudice Sportivo, che i tifosi dell’Aversa hanno “colpito” la Salernitana dal riscaldamento). E Montervino è sanguigno: si è costruito una carriera con la personalità, non conosce freni al temperamento. Quando sta in campo, lotta. Non ha retto agli insulti, ma ha combinato un casino. Incidenti. Infine la punizione esemplare: due anni di Daspo (potrà giocare e allenarsi, ché è il suo lavoro, ma niente altre manifestazioni sportive né partite allo stadio se non è convocato), sollecitati dall’Osservatorio.
Troppo.
E non sono ammessi moralismi sul “buon esempio” da parte chi il campo lo guarda solo dalla poltrona, seduto a fustigare costumi. Montervino è stato vero. Come Boateng quando ha scagliato il pallone contro i tifosi della Pro Patria. Sì, sì, sì: quello era razzismo e tutte le altre parole di (giusta) condanna al seguito erano legittime. E pure la reazione. Ma – senza indagare sul tipo di insulti ricevuto da Ciccio – è sangue, perdio. Calcio senza creste impossibili, senza coreografie a favore di telecamere e cuoricini disegnati con le mani e altre plastificazioni del genere. Porta a conseguenze, infatti Montervino andava squalificato ed è stato squalificato. Ma il Daspo è la forzatura che vuol fare notizia, la punizione da dare al pesce piccolo. L’urlo che si leva per lavare le coscienze, il modo per dire che la violenza è contrastata. Con la solita repressione a fasi alterne e in funzione del peso di chi agisce (perché la corsa di Mazzone verso la curva dell’Atalanta fu solo un divertente episodio?). E il solito auto-commissariamento del calcio, che per i suoi problemi (e la violenza lo è) chiede ad altri la soluzione, visto che ora anche per i casi di razzismo decide la polizia. Polizia al posto del giudice sportivo, polizia al posto dei tifosi, polizia al posto della mamma e del papà. Un mondo che non si sa rinnovare e chiede di essere rieducato, mentre alle spalle si scommette e un bel po’ di cose continuano a marcire. E allora, sotto con il Daspo al giocatore, che fa pure fico. Ora possiamo continuare: con gli spalti vuoti, le trasferte vietate e pure un po’ di propaganda. Fino magari al varo della tessera del giocatore, per sommare un altro fallimento. Perché lo sapete, vero, che erano tesserati un bel po’ di razzisti di Busto Arsizio, sì? Ma vuoi mettere, diffidare Montervino?