Alex Schwazer nuova icona del male nello sport. Ai tempi del web 2.0 è bastato il fulmine a ciel sereno dell’esclusione del maratoneta dalle ultime Olimpiadi londinesi perché sulla rete si scatenasse la furia dei censori, pronti a immolare lo scalpo del marciatore di Vipiteno in nome di una fantomatica purezza, merce rara in un sistema sportivo ormai corollario degli interessi economici. Lo sport come lo avevano immaginato i greci a Olimpia non esiste più. La prestazione e il risultato contano più degli ideali di Pierre de Coubertin.
La grave caduta della medaglia d’oro a Pechino, però, ha consentito alla pancia del Paese di trovare un capro espiatorio da fustigare, riflesso pavloviano di un popolo che così pensa di controbilanciare la troppa indulgenza nei confronti delle proprie manchevolezze. Marco Imarisio sul “Corriere della Sera” ha commentato con realismo il linciaggio a cui è stato sottoposto l’ex azzurro: «In realtà quegli sfregi, a lui, alla sua fidanzata, quelle caricature grottesche e ingiuste, parlano di noi, della nostra ipocrisia. Sono un’altra piccola dimostrazione del rancore e del risentimento che si agitano nella pancia del Paese, del bisogno in crescita costante di trovare qualcuno, meglio se ricco, famoso e in disgrazia, verso cui indirizzare la propria rabbia. (…) Gli insulti esagerati contro Alex Schwazer confermano solo la nostra innata tendenza alla gioiosa bastonatura del cane che affoga. Certe volte basta poco per essere felici».
I soliti benpensanti hanno trovato la panacea anche nel declino giudiziario del ciclista americano Lance Armstrong. Per lo storico dell’University college di Londra, John Foot, questa parabola era prevedibile: «Per almeno vent’anni, dalla metà degli anni ottanta in poi, il ciclismo, come l’atletica, è stato dominato dal doping. Soprattutto blood doping. Quasi tutti i ciclisti lo praticavano. Era facile – scrive sul blog di “Internazionale”- per molto tempo non si poteva neanche essere beccati. Il sistema faceva molto fatica a rispondere a questa crisi, anche perché bandire tutti i ciclisti voleva dire rovinare tutto: sponsor, soldi, spettatori, diritti televisivi. Il circo doveva andare avanti, anche se i ciclisti stavano svegli di notte per paura di morire nel sonno, uccisi dal loro stesso sangue». Lo sport, tra sponsorizzazioni e diritti televisivi, ha di fatto messo in second’ordine le ragioni della salute degli atleti, per privilegiare la mercificazione spettacolare delle loro gesta. E questo fenomeno è stato contrastato non dall’interno, ma dalle Procure. Analizza ancora Foot: «Il sistema dello sport non poteva riformarsi da solo. (…) Le cose sono cambiate adesso? Sì e no. Sì perché sembra che le squadre non organizzino più il doping, sì perché la vicenda Armstrong non può passare come un errore di un singolo, sì perché ci sono pentiti che fanno propaganda per un ciclismo pulito, come David Millar. Ma non illudiamoci. (…) Gli sponsor sono sempre più potenti. I dottori lavorano sempre per produrre nuove forme di doping, sempre più raffinate. La battaglia è sempre in corso, in Francia, in Spagna e anche in Italia».
Moralisti, a volte con tesi davvero d’accatto, sono sempre dietro l’angolo anche nel calcio, tra filippiche sul calcio scommesse e prediche sul “fair play finanziario”. Quest’ultimo tema è stato uno dei capisaldi della gestione dell’Uefa di Michel Platini: “Le Roi” voleva dare un perimetro etico alle spese folli dei club continentali, salvo poi scoprire che gli emiri del Paris Saint Germain non si fanno nessuno scrupolo nell’acquistare “top player” (da Pastore a Ibra) a prezzi stellari. Insomma la correttezza economica vale in teoria, e comunque non nella capitale francese…
Le inchieste sul calcio-scommesse? Il sistema era e resta permeabile a organizzazioni criminali, in grado di combinare partite e lucrare sulle giocate dei bookmaker. La giustizia sportiva è amministrata da una anacronistica Procura senza alcun potere reale di indagine, gli accusati non hanno diritto di contro-interrogare i propri accusatori, i pentiti come Andrea Masiello, pur tra mille contraddizioni, hanno rimediato condanne lievi (tra due anni rimetterà gli scarpini da calcio) e i tifosi si dividono in fazioni pro o contro Antonio Conte, inibito per dieci mesi. E i moralisti? Solleticano il ventre molle del paese demolendo chi è già immobilizzato alla gogna mediatica. Attaccare la degenerazione dello sport-business è una sfida troppo impegnativa per i soliti fustigatori da salotto…
* dal Secolo d’Italia del 3 settembre 2012