Siamo al secondo appuntamento elettorale regionale per l’Italia del 2020, il primo dopo la chiusura totale dell’Italia per l’emergenza pandemica. Le aspettative erano di conseguenza molto alte sia per la maggioranza politica che guida il Parlamento, sia per la coalizione di destra che si trova all’opposizione da ormai un anno esatto. La maggioranza doveva mantenere saldi i propri governi regionali uscenti (4 su 6), mentre la destra doveva approfittare della lunga coda di vittorie iniziate in Sicilia con la vittoria di Musumeci del 2017, per strappare anche le roccaforti storiche della sinistra.
Le elezioni in Emilia-Romagna
Chi scrive ha vissuto la campagna elettorale in Emilia-Romagna dove si aspettava un risultato storico e ha sempre sentito un fortissimo malcontento degli elettori di destra per la scelta di un candidato, Lucia Borgonzoni, che non rispecchiava quella serietà, presentabilità e senso di competenza che contraddistingue la destra, quella che vince. E infatti ha perso, anche col voto disgiunto di elettori che non si sono fatti troppi scrupoli a votare in maniera disgiunta perfino Lega o Fratelli d’Italia e Bonaccini alla presidenza. Il messaggio fu un chiaro rifiuto verso il candidato proposto. La strada sembrava abbastanza segnata: la Lega è forte ma non tanto da vincere anche con gli impresentabili.
Mentre nelle elezioni nazionali, per il Parlamento e – indirettamente – per il Governo, si presentano i segretari e i maggiori dirigenti di partito, ci si rispecchia in un idem sentire ideologico, nel senso migliore del termine, nelle elezioni regionali contano sostanzialmente due cose: la scelta dei candidati e il senso di protesta verso il governo. Nonostante il senso celato contro il governo, l’obiettivo era vincere i governi locali; si era riusciti in Umbria e Basilicata, quindi si poteva anche questa volta, e la vittoria nelle Marche ne è una conferma.
Candidati sbagliati
Le aspettative erano buone, forse troppo ottimistiche, e invece gli elettori di destra hanno severamente punito le scelte dei candidati. Non interessa qua fare l’analisi sui risultati di lista, due candidati abbastanza autonomi (De Luca ed Emiliano) vincono nonostante il sostegno del PD, il terzo (Giani) vince con la mobilitazione dello stesso apparato, seppur dell’altra regione, che si era mosso in Emilia-Romagna. Gli uscenti Toti e Zaia viaggiano da soli, il nuovo Acquaroli vince agilmente in una terra rossa. Questo dice semplicemente una cosa: gli altri candidati erano talmente sbagliati da non permettere nemmeno un testa a testa in regioni che altrimenti avrebbero potuto essere contese.
A questo punto, considerando che i sondaggi nazionali continuano a premiare con percentuali senza precedenti la coalizione di destra, e visti anche i pastrocchi commessi con il referendum, viene una sola considerazione: la destra non voleva vincere. La destra vuole continuare a “soffriggere” e “rosolare” il proprio vantaggio nazionale, curandosi di non far cadere il Governo e non portare la Nazione ad elezioni anticipate. Evidentemente anche a rischio di lasciare a questa maggioranza l’elezione del prossimo Presidente della Repubblica, nel 2022.
Soprattutto però la destra può permetterselo. In Italia è strutturalmente la maggioranza, ora sa che se si tornasse al voto vincerebbe, ma dovrebbe dimostrare come affrontare una emergenza sanitaria molto impegnativa. La sinistra invece, che ha sempre vinto con margini molto sottili e governato “carpe diem!” con maggioranze ancora più risicate, sa che ogni occasione per governare è estremamente preziosa e non va lasciata per alcuna ragione.