Ha un cuore la nazione ungherese? Sì: c’è e si vede! Batte a Budapest sotto la grande cupola del palazzo del parlamento in piazza Kossuth, sulle rive del Danubio. Proprio al centro dell’edificio. È lì infatti che sono conservati – sotto stretta sorveglianza armata – non dei cimeli, ma delle vere e proprie reliquie appartenute a santo Stefano I re d’Ungheria, il “Re Santo” che ha unito i popoli magiari e cristianizzato quelle terre a cavallo tra i secoli X e l’XI. Erano sue la corona sacra, lo scettro regale, la spada d’incoronazione e il globo crucigero. Segni del potere oggi adagiati su dei cuscini di velluto rosso e protetti da una spessa teca di vetro.
LA CORONA SACRA
Una stanza che trasuda mistica e sacralità, insomma: oltre le guardie – a sorvegliare i parlamenti reali – ci sono le statue dei “re apostoli” ungheresi, immobili e maestosi. L’unica sala del palazzo, fra quelle aperte al pubblico, dove non è possibile scattare foto. Questo perché le immagini di alcuni luoghi o si raccontano con il solo sforzo della memoria o scivolano via come la pioggia. La suggestione spesso supera di gran lunga il ricordo, soprattutto se essa aggancia una narrazione che più europea non si può. E sta a oriente come a occidente, nel Mediterraneo come nell’orgogliosa Mitteleuropa. Per gli appassionati di cinema, un aiuto ce lo può dare il Signore degli Anelli e le immagini della stanza che a Gran Burrone costudisce i resti di Narsil (Andúril), la spada spezzata che ha sconfitto Sauron.
IL SANTO POTERE
La legittimità del potere, quello che opera secondo i princìpi immortali della Tradizione, è qualcosa che va di molto oltre i vincoli burocratici o la proceduralità amministrativa. C’è una mistica che lo accompagna e che vive e si rinnova alla presenza di un popolo consapevole della propria identità storica. In tal senso la costituzione e la professione di fede nazionale parlano chiarissimo: la sacra corona «incarna la continuità costituzionale dello Stato ungherese e l’unità» del Paese.
IL RE-APOSTOLO
Santo Stefano, il Re e l’apostolo. Tutto tra Buda e Pest parla di lui. Le tante statue trionfali, i ritratti, la grande cattedrale. E ancora la sacra corona. È indubbiamente quello il simbolo della nazione magiara dalla caduta del comunismo in poi, che domina la bandiera tricolore assieme alla croce pastorale a sei braccia (per i francesi di Arianna), strumento anch’esso connesso al mito-reale del primo regnante ungherese.
PAPA SILVESTRO II
Secondo i racconti del vescovo Artvico, papa Silvestro II aveva destinato originariamente la corona a Miecislao I di Polonia; il Santo Padre fece però un sogno strano in cui gli apparve un angelo che gli disse: «Sappi che domani, nelle prime ora del giorno, ti arriveranno dei messaggeri da una nazione sconosciuta che oltre alla benedizioni pretenderanno da te la corona regale. Quindi non esitare a far pervenire al loro sovrano, come da loro chiesto, la corona che avevi fatto fare. Perché sappi che questa gli spetta per i meriti della sua vita assieme al suo glorioso rango reale».
IL REGNO APOSTOLICO
Ma il racconto non finisce qui. Perché grazie all’ispirazione divina il papa consegna il diadema non ai polacchi, ma al vescovo Astrico, legato di Stefano, dicendogli: «Io sono apostolico – parola di Silvestro II – lui invece è giustamente apostolo di Cristo, se Cristo, tramite lui, aveva convertito così tanti popoli. Per cui gli affidiamo, come la grazia divina glielo insegna, la direzione delle chiese e dei suoi popoli secondo ambedue le leggi». Oltre la corona, al re fu consegnata quindi anche la croce pastorale. Secondo la tradizione, persino i successori di Stefano sono investiti del medesimo potere divino e quindi apostoli e difensori dell’indipendenza dell’Ungheria cristiana.
IL SECOLO BREVE
I dolori della nazione sono però anche quelli della corona. Il ventesimo secolo è un continuo travaglio per il popolo magiaro. Dal collasso dell’impero austro-ungarico, è un susseguirsi di regimi politici differenti e spietati. Finita la seconda guerra mondiale, il sacro emblema reale finisce addirittura nelle mani dei soldati americani e trasportato in Usa. Soltanto nel 1978 il dipartimento di Stato acconsentì alla restituzione, ma solo a condizione che alla consegna non fosse presente Janos Kadar, il segretario generale del Partito operaio socialista. Una presa di posizione dettata dal ruolo da lui ricoperto durante la repressione dei moti del 1956.
IL RITORNO DEL RE
L’ultimo atto. Il 21 dicembre del 1999, l’Assemblea nazionale ha deciso che dal Museo le insegne reali debbano essere custodite presso la sede del parlamento. L’ingresso a Palazzo è avvenuto l’1 gennaio del 2000, all’alba del nuovo millennio. Un millennio che secondo gli auspici magiari deve essere sotto il segno di quella libertà che soltanto nel nome di Santo Stefano può trovare la sua pietra angolare. Capire lo spirito ungherese senza passare dalla sacra corona è una impresa inutile. Sorvolare sul forte spirito identitario di una nazione, già visibile a partire dai suoi monumenti quasi tutti dedicati agli eroi anti-turchi, anti-tedeschi e in ultimo anti-sovietici, non permette di capire il perché di tante scelte attuali. Un popolo spesso diffidente, non sempre apertissimo all’altro. Ma sicuramente onesto e fiero.
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