Si tratta di punti di vista. Red Ronnie, noto giornalista musicale e mente pragmaticamente lucida circa la concezione in cui versa la musica italiana contemporanea, ha affermato vibratamente che se le case discografiche demandano lo scouting dei loro nuovi artisti ai talent show compiono un atto in sè disumano. Vero. In un contesto politico-culturale, però, in cui le logiche prettamente di mercato soverchiano lo spessore creativo delle sfere artistiche trasformandole in settore produttivo con un bilancio da rispettare, questo punto si vista scivola inestricabilmente verso la frontiera dell’utopia. È inevitabile considerare la musica come un prodotto dell’industria culturale e l’intersezione della stessa musica con situazioni televisive, in contesti che definiremmo mainstream (i talent), diventa un dato di fatto. Capita, in periodi come questi, che anche la musica underground senta l’esigenza di passare attraverso la televisione per farsi conoscere da pubblici di vario genere, nello specifico attraverso il talent show di Mediaset, Amici, di solito considerato il tempio della musica leggera. Si vedano, a titolo di esempio e per amor di par condicio, una simpatica incursione dei Tre Allegri Ragazzi Morti a Che Tempo che Fa ed una dei TheGiornalisti proprio ad Amici. Lo Strego ha capito il meccanismo e ha trasportato il suo mondo e il suo stile in una dimensione in apparenza lontana dalla sua visione musicale, arrivando alle famiglie, a chi guarda la tv nella fascia pomeridiana, a chi guarda Sanremo e i programmi di Carlo Conti. Nicolas Burioni, in arte Lo Strego, da San Marino, ha in cantiere un progetto, dal titolo Benemerito artista del popolo, un omaggio indiretto e neanche troppo subliminale alla galassia del punk emilianoromagnolo capitanata dai Cccp Fedeli alla linea. L’album è un concept dotato di un notevole fil rouge che lega narrazioni che hanno al centro categorie umane che i sociologi chiamano tipi umani, ed il ruolo sociale che li caratterizza. L’arrivista, l’astronauta, il deejay, figure del nostro tempo, di questo tempo che Lo Strego, ti rapisce, ti assorbe con la melodica voce graffiata in stile Renato Zero, mixato con un menù da canzoniere popolare. Scandaglia con uno stile ed una narrazione da lui definita macabro circense, che mescola il teatro d’avanguardia con l’improvvisazione e la musica cantautoriale. Tipi umani, come nell’antologia di Spoon River. Quando si ha voglia di raccontare il proprio mondo e di raccontare se stessi non c’è talent che tenga, nonostante i volteggi di una continua battaglia tra il conservare la propria integrità e l’intercettare i gusti del pubblico. Lo Strego, perfetta ombra che con Nicolas forma un duo dinamico, ne è uscito vincitore.
Il tuo stile musicale sembra l’incastro perfetto tra Rino Gaetano, Alberto Camerini e i Cccp, pur risultando innovativo e intrigante. Quali sono i tuoi riferimenti musicali? A chi ti ispiri?
Mi ispiro, per una questione di genere dal punto di vista stilistico, a Renzo Rubino, il precursore dello stile macabro circense. Io però sono venuto dopo e mi definisco parte di questo genere.Ma ho una cultura musicale scadente, molto piccola. Ho ascoltato tante cose ma mai quante Morgan (ride). Da piccolo sono cresciuto con la radio, poi ho scoperto internet il mio panorama si è aperto e ho iniziato a cercare quello che mi affascinava di più. Ci sono tanti artisti nel mondo dell’indie, nel trash e nel punk che portano avanti un discorso interessante. I Cccp, anche se c’entrano poco con quello che faccio, sono stati importanti per me a livello concettuale per come si esprimevano sul palco. Quando ho dato vita al mio primo progetto, mi sono autodefinito benemerito artista del popolo, ho omaggiato proprio i Cccp con Annarella, la benemerita soubrette. Facendo questo genere di musica, essendo un artista minore, mi definii proprio benemerito artista del popolo.
Il tuo album tratteggia ritratti di tipi umani (l’arrivista, l’impiegato, il deejay) portandone alla luce stereotipi e contraddizioni. Da dove nasce questa esigenza?
Iniziai a scrivere un po’ di anni fa queste canzoni e mi venne spontaneo ricollegarmi ad un lavoro di Fabrizio De Andrè Non al denaro, né all’amore, né al cielo. Ho pensato di dare alle canzoni il nome di un personaggio per creare una mia cifra stilistica e creare un mondo. Ma non sono sempre racconti in prima persona, ma sono anche metafore. Le mie storie, le tematiche, definiscono un certo contesto sociale. Io sono dalla parte del giardiniere, del calzolaio, del proletariato. Ho fatto una scelta. Ho scelto di abbandonare l’estetica convenzionale per riuscire a creare qualcosa che fosse più legato al concetto. L’approccio di chi si avvicina il canto è quello di apparire e di vedere l’artista cantante come un personaggio da mettere sul piedistallo, cercare la nota, la vocalità. Io ho voluto percorrere una strada contraria, mi sono buttato nel pozzo e ho costretto la gente a guardare dentro al pozzo anziché guardare il piedistallo. Credo che ogni artista, quando fa qualcosa, la fa anche per dare un’idea di se stesso. molte volte dipende da quello che si vuole esprimere.
A quando risalgono i tuoi esordi?
Ho iniziato a fare musica molto tardi, ero già adolescente. Ho costretto mio padre a comprarmi una pianola giocattolo, un prodotto abbastanza economico, ma era quello che mi attraeva di più sotto un crto punto di vista ed iniziai ad orecchio ad imparare le prime canzoncine. Iniziai ad essere in grado ad accompagnarmi e a cantare. Tre anni dopo iniziai a suonare nei primi concerti. Mi accompagnava un ragazzo che suonava la chitarra elettrica, suonavamo le prime cover unite a pezzi inediti che non c’entravano niente con il repertorio di cover. Passai dalle bettole ai contest per band. Poi è venuto il difficile: Finita l’università, ho cominciato a lavorare ma ho capito che dovevo affrontare la musica più seriamente. Tra tutte le scartoffie che avevo scritto, c’erano pure le canzoni che facevano parte del progetto Lo Strego, perché mi consentiva di tirare fuori una parte di me che veniva occultata dalla timidezza
Sono timido anche io quindi ti capisco.
Esatto. Ma mi ricordo il momento il cui questa follia veniva fuori. Ho in mente la faccia della madre di famiglia alla sagra della porchetta mentre assisteva a questa follia.
Sei molto punk.
In un certo senso sì. È un’espressione molto violenta che ho sempre avuto dentro. Facevo queste cose da solo, le portavo in giro suonando il pianoforte. È un’espressione molto violenta e molto prepotente. Spinto da questa cosa decisi di fare un progetto su di me. Cercai di capire il modo in cui potevo concretizzare tutto questo, fino ad arrivare ad Amici. È stata una dimensione che non avevo mai considerato prima, ma credevo mi servisse per avere una certa visibilità. È stato un modo per uscire dall’ombra.
Come mai ti fai chiamare Lo Strego?
Nella mia mente era chiaro quello che dovevo fare. Mi mancava però un aspetto: non mi potevo presentare con il mio nome e cognome, avevo bisogno di un Alter Ego. Cercavo uno pseudonimo che raccontasse un certo tipo di storia. Mi sono ispirato ad un personaggio che faceva parte di quelle storie della tradizione orale della Garfagnana ed ho utilizzato il nome di questo personaggio che evocava tante cose. Sempre nell’insieme di storie del proletariato, condite di misticismo. È stato un po’ come mischiare oscurità e ironia.
Hai in cantiere un live?
È un progetto sempre in via di definizione, ma ci sono tanti spunti. Chiamiamola una fusione tra teatro, musica e follia.