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Home Cultura

Il ricordo di Richard Benson. E alla fine Dio l’ha baciato freddo sul serio…

Un ritratto dell'anima greve romana rappresentata da un chitarrista del sottobosco irregolare

by Emanuele Mastrangelo
12 Maggio 2022
in Cultura, Musica
0
Richard Benson

Così ci ha lasciato pure Richard Benson.
Era un cazzaro e un parucca. Un cialtrone con venti euri de mochett in capoccia.
Però aveva fatto la storia della grevità romana a cavallo del nuovo secolo.
Partito con le sue (meritorie) trasmissioni su TVA40 (la celebre “Ottava Nota”) in cui davvero parlava di musica alternativa, ha avuto il suo exploit con l’internet, quando i suoi seguaci-odiatori hanno iniziato a riconoscersi e radunarsi. Ovviamente per minacciarlo di improbabili attentati e insultarlo in ogni maniera concepibile.
Ricordo ancora la frase che me l’ha fatto scoprire: “A Ricchiar, te butto ar mare, te ripesco e co’ te ce faccio i bastoncini findus der MALE”. Mezz’ora a ride.
Noi della Richard Militia lo insultavamo, gli tiravamo la roba ai concerti, lo facevamo incazzare perché così poi lui rispondeva. Gli abbiamo portato teste di maiale e tirato le sottilette che gli si appiccicavano addosso alla sua pelle sudata mentre torturava la chitarra…

Era la vecchia anima greve romana, quella che si portava i gatti morti all’Ambra Jovinelli per tirarli ai guitti o che pisciava dal loggione del Giulio Cesare durante il Fantafestival su quelli in platea. La grevità delle parolacce e bestemmie che facevano scappare i registi dei film dell’orrore e non risparmiavano a nessuna femmina che entrava in sala, brutta o bella che fosse, il giusto apprezzamento sulla resa gravitazionale delle sue chiappe.
Poi con il degrado di internet anche Richard è degradato. Aveva capito che tutto sommato poteva farsi 2000 euri in una serata facendo da bersaglio per soli 10 minuti. Poi si inventava la rissa, il danno, la ferita (che qualche volta c’è pure stata, perché noi andavamo a sfottere, tanti bimbiminkia andavano invece a tirare roba a far male) e la serata andava a ramengo. A noi piaceva il cazzaro che raccontava di quando aveva scoperto Marlin Manson all’Holiday Inn di Vancouver (“un ragazzino magro magro, con la faccia scolorita, accompagnato dar papà”). Non volevamo vedere un pagliaccio che faceva da volontario bersaglio a ragazzini più cialtroni di lui. A noi piaceva lo scassatimpani che suonava il suo capolavoro – “Madre Tortura” – con un testo presuntuoso e cialtronesco che il pubblico trasformava nel ritornello in un coro: “Madreeee… PARUCCAAAA”. 

E invece aveva preferito i soldi facili.

Chiaramente la cosa non poteva durare. Dopo un po’ il pubblico l’ha abbandonato. Noi della Militia l’abbiamo pisciato (anche perché lui ci aveva trattato male) e i nuovi dopo un po’ si sono stufati. Richard è ricaduto nell’oblio. Pessimo amministratore della sua vita, s’è venduto tutto ed è poi finito sul lastrico.
Una vita a ingozzasse de cappuccini ar bar “Italia” di Santa Croce in Gerusalemme, che poi gli ha presentato il conto.
Alla fine era diventato la barzelletta di una barzelletta. E la cosa faceva male a guardarla.

In realtà lui era stato anche un discreto musicista della scena prog. Poi qualcosa gli era successo alle mano e aveva iniziato a perdere agilità ai diti. Aveva anche tentato il suicidio, lanciandosi da Ponte Sisto, ma da cialtrone qual era manco er Tevere l’ha voluto, e così ha acchiappato la secca vicino al pilone a pelle de leopardo. S’è fracassato tutte le ossa, s’è fatto non so quanti mesi di ospedale e la parucca è stata vista galleggiare a Fiumicino… Però è sopravvissuto, sciancato e cazzaro, in tempo per raggiungere il suo massimo splendore col Natale Del Male, spettacolo del 2005 al venerando e mai abbastanza compianto Coetus Pub di San Lorenzo. Negli anni successivi raggiunse l’apice dell'(in)fama. Grazie alla Militia erano stati fatti calendari con fotomontaggi egregi, videogiochi in cui er Parucca doveva acchiappare i polli che gli tiravano sul palco, cd con i suoi videi, magliette, adesivi, spillette…

E’ vero che fosse inglese. Un motivo in più per odiarlo. Al bar Italia di Santa Croce in Gerusalemme, mentre sorbiva il suo cappuccino infernale, mi ha messo in mano il suo passaporto verde con data di nascita e città. Era di Woking veramente. Insomma, non si chiamava Ricchiardo Benzoni. Ma noi ce lo chiamavamo per farlo incazzare di più.

Ricchiar se ne va ora che anche l’internet è diventato un postodemmerda. Il 90% di quello che bisognerebbe scrivere in un coccodrillo dedicato a lui è proibito dagli algoritmi. Alla fine vogliamo ricordarlo così, soprattutto constatando che per quanto cazzaro, parucca e stronzo era comunque meglio di gran parte di quelli che se sentono meglio de lui e del mondo che lo circonda. Almeno lui faceva ride.
Ricordiamolo così.

@barbadilloit

Emanuele Mastrangelo

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Tags: emanuele mastrangelorichard bensonroma

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