Viene dalla Sardegna e si chiama Jacopo Incani. Ma potrebbe venire dal Canada, dalla Germania, dalla Francia o da qualsiasi altra parte del mondo. Perché ascoltando un suo pezzo non identifichi una lingua definita, non riconosci una provenienza, non associ un’area geografica. A distanza di sei anni dal precedente (e spiazzante) lavoro, Die, esce in questi giorni il nuovo lavoro di Iosonouncane, dal titolo Ira. Ed è un disco totale, difficile ma non per questo meno apprezzabile.
Sorprende a partire dalla durata, davvero lunga, considerando i tempi di fruizione usa e getta degli ascolti odierni: dura quasi due ore e contiene diciassette tracce ognuna dai quattro ai sette minuti circa.
Ed è un lavoro che richiede tempo, approfondimento e passione, perché va ascoltato e basta, non mentre fai altro, non nelle cuffiette mentre corri, non mentre accompagni i bambini a scuola la mattina. Va ascoltato e basta, dedicando ascolti ripetuti e concentrati e rimanendo stupidi e rapiti ad ogni ascolto dai dettagli meraviglioso che si percepiscono in ogni pezzo.
E’ un disco che spazia dal jazz all’elettronica, dal post-rock all’ambient e magari alla chanson. Ciò che stupisce maggiormente è poi il linguaggio utilizzato. Iosonouncane utilizza la voce come uno dei tanti strumenti a sua disposizione recitando un mix perfettamente coerente di italiano, francese, tedesco, inglese e magrebino. Una lingua nuova che è la lingua della migrazione, la lingua del Mediterraneo.
Senza dubbio il disco (italiano) dell’anno già a maggio.