Il romanzo storico è diventato un genere molto amato dai lettori italiani e il Premio Campiello riflette questa tendenza. Se solo due romanzi possono rientrare a pieno nella categoria, la Storia, alta o bassa che sia, attraversa tutti i titoli della cinquina.
La storia dell’immigrazione dei meridionali verso il Nord negli anni ’50 è al centro della toccante vicenda raccontata in ‘L’ultimo arrivato’ da Marco Balzano, meritato vincitore, sostenuto soprattutto dal voto della giuria popolare. Frutto di una ricerca sul campo, si presenta come un racconto sincero, costruito senza artifici, che si legge tutto d’un fiato.
La storia d’Italia torna nel secondo romanzo classificato, ‘Il tempo migliore della nostra vita’ di Antonio Scurati, dove l’autore racconta la vicenda della sua famiglia in parallelo con quella di Leone Ginzburg, intellettuale fondamentale del nostro Novecento e cofondatore della casa editrice Einaudi. Poteva essere un interessante alternarsi di due punti di vista, quello della povera gente e quello dell’intellettuale osteggiato e poi ucciso dai tedeschi, ma Scurati non riesce a dare pathos a nessuna delle due parti.
Un accenno visionario si ravvisa in ‘Cade la terra’ di Carmen Pellegrino, esordio in chiave dark di una scrittrice che ama frequentare i funerali degli sconosciuti (così recita la quarta di copertina). Una storia corale dove a parlare sono anime vaganti in un paesino disabitato. Il linguaggio poetico che caratterizza il romanzo risulta però farraginoso (ci sono umili analfabeti che parlano come Ungaretti!) e alla lunga può stancare. Comunque un esordio da tenere d’occhio.
Le storie di provincia nate tra i tavolini di un bar e assunte ad epopee di paese sono al centro di ‘Senti le rane’ di Paolo Colagrande, un libro leggero come uno spritz, che va giù e si dimentica subito con un ruttino.
Ultimo della coda, ‘La mappa’ di Vittorio Giacopini, dove la Storia con la S maiuscola irrompe niente meno che con Napoleone visto da un punto di osservazione originale, quello del suo cartografo inviato come spia in Italia. Spunto interessante rovinato da una lingua infarcita di termini desueti in omaggio al preziosismo in uso nell’italiano aulico dell’epoca che rende la lettura alquanto ostica. Sarà pure un’operazione culturale elevata (anzi elevatissima, come sottolinea l’autore nelle interviste), ma il risultato è un tomo sobillatore di sbadigli.
Insomma, viva il più modesto, sincero e ahinoi ancora attuale romanzo dei migranti vincitore.