Sulla carta dovrebbe “cambiare verso” al mercato del lavoro. In realtà potrebbe essere nient’altro che un passo indietro nel tempo. Arriva il primo atto concreto, sotto forma di decreto legge, del governo Renzi che, da come si presenta, invece di rappresentare una novità conferma una sostanziale riproposizione della precarietà. Un capitolo su tutti: quello del contratto a tempo determinato. Questo – secondo il dl – prevede la possibilità di otto proroghe, senza giustificazioni da parte del datore di lavoro, spalmate in tre anni.
Una misura che si presenta in maniera del tutto diversa rispetto alle dichiarazioni di qualche giorno fa dello stesso Matteo Renzi: che cosa c’entra infatti questo tipo di contratto con l’idea che aveva ventilato di contratto unico di inserimento a tempo indeterminato (con tutele crescenti)? Ciò significa, oltretutto, che da questo momento in poi i datori di lavoro potrebbero dare inizio e concludere un rapporto di lavoro con più facilità proprio perché – dall’altro lato – il lavoratore ha uno strumento di “difesa” in meno venendo a mancare la causale con la quale si stipula un contratto.
Anche dal punto di vista di chi sostiene un ulteriore liberalizzazione del mercato del lavoro questo decreto sembra inadeguato. Lo ha spiegato a Libero un dirigente di Gi Group, agenzia che si occupa di impiego. «Una parte dei provvedimenti rischia di trasformare la giusta aspirazione delle imprese a un mercato del lavoro più flessibile in precarietà». Sotto accusa le otto possibilità di rinnovo: «Le proroghe reiterate che sono così utili per le aziende devono essere gestite da operatori professionali per garantire al lavoratore un livello accettabile di flexsecurity. Flessibilità sì, ma anche sicurezza».
Una misura, questa contenuta nel decreto, che – come spiegano gli stessi osservatori – non garantisce strumenti adeguati per il lavoratore che dovesse (e potrebbe data la quasi totale assenza di garanzie per un arco temporale molto lungo) perdere il proprio impiego. Di fatto, anche senza la giungla dei contratti che ha caratterizzato i vari “pacchetti” (da Treu alla riforma Biagi), la proposta del governo continua a insistere sull’elemento debole della catena: il lavoratore.
@rapisardant