Quale sarà il ruolo del Sindacato all’interno della rivoluzione tecnologica che sta investendo i nuovi processi produttivi? Dopo essere stato, per decenni, la quarta gamba del sistema di potere/rappresentanza italiano, il Sindacato sembra ora destinato a subirne la stessa crisi. Apparentemente è una situazione paradossale. Nel momento in cui la depressione, che ha colpito la nostra economia, richiederebbe una più forte domanda sociale ed adeguate contromisure (a cui proprio il Sindacato dovrebbe dare il suo contributo) le tradizionali forme di rappresentanza dei lavoratori mostrano la corda. Perfino la “concertazione”, utilizzata quale strumento compensativo delle tensioni sociali, è venuta meno, lasciando spazio a deboli modalità informative, sia da parte delle aziende che delle istituzioni.
Quanto accade non è causale. Sono venute al pettine le tante contraddizioni accumulatesi negli anni: la perdita dell’identità “classista”, il ruolo di potere delle Confederazioni (con il conseguente persistere di un sistema di piccoli privilegi), la mancanza di regole trasparenti nella rappresentanza (con l’emergere di una sostanziale autoreferenzialità), il radicarsi di un sistema di gestione delle risorse, che sfugge ai controlli.
A venire meno è poi lo slancio ideale, provocato dal tramonto delle vecchie ideologie. Il molti casi il Sindacato si è burocratizzato, adagiandosi su se stesso, appesantito dall’automatismo delle deleghe e dal prevalere dei pensionati sugli iscritti attivi.
Sono lontani i tempi in cui il mondo del lavoro era portatore di un progetto sociale di cambiamento, in grado di coinvolgere l’intera società e di immaginarla integralmente diversa, anche a costo di dare scandalo.
Pensiamo all’idea corridoniana dello Stato da “conquistare” (innanzitutto a livello di nuova coscienza collettiva), alla concezione dello “sciopero generale” inteso come scontro tra due volontà di potenza (quella della borghesia e quella del proletariato), alla forte domanda di modernizzazione (contro/oltre un’Italietta mediocre e pavida), all’aspirazione di coniugare idea nazionale e lotte sociali, alla polemica contro l’infame camorra del parlamentarismo e all’ambizione di un nuovo sistema di rappresentanza politica e sociale, costruito intorno alle categorie organizzate.
Pura Storia ? Semplici icone del tempo che fu ? Pensiamoci… a noi pare che, mutati i tempi ed i “contesti”, da quelle idee possa partire una nuova stagione per un sindacalismo che voglia e sappia essere “integrale”, cioè portatore di un’idea alta e nobile di società.
Di fronte al rifluire della politica, al venire meno dell’orgoglio del ruolo di lavoratore, alla necessità di modernizzazione del Paese, allo scontro tra economie “nazionali”, all’inadeguatezza delle attuali forme di rappresentanza partitocratica, è da una nuova consapevolezza di ruoli e di azioni, espressione di un’idea sindacale “integrale”, che può passare una speranza autentica per il mondo del lavoro ed una nuova volontà di trasformazione sociale e politica.
Il rischio, per il Sindacalismo italiano, è di tirare a campare. Troppo poco di fronte all’incalzare della rivoluzione tecnologica in atto e all’esplodere delle contraddizioni di un modello di sviluppo ingiusto e quindi strutturalmente debole a cui occorre opporre credibili alternative, ideali e di progetto. Né basta costruire nuove modalità di “consultazione”. Sul tappeto, per il 2021, ci sono i temi specifici della riforma degli ammortizzatori sociali, delle politiche attive del lavoro, del fisco, dell’efficienza della burocrazia, ma oltre essi ci vuole molto di più, laddove da costruire è un nuovo modello sociale e di sviluppo, che richiede competenze, condivisione, visioni lunghe. Su questi crinali il Sindacato può giocare un ruolo essenziale. Basta crederci e volerlo, mobilitando di conseguenza i lavoratori, finalmente investiti di nuovi ruoli e responsabilità.
Mario Bozzi Sentieri