Non c’è vera musica, non ci sono veri strumenti. Tutto campionato. Ma la cosa non ci importa, poteva esserci la filarmonica di Berlino diretta da Karajan o un gatto che cammina su una tastiera (c’è il secondo, probabilmente. Però è il gatto di Karajan) ma noi attendevamo un segno da Svart Jugend come i Fremen attendono il Mahdi. E questo segno è arrivato.
“Del fare di Sartre la nostra puttana” è un feticcio, un oggetto del desiderio più che un album musicale (del resto, se voglio sentire musica ascolto Bach piangendo in cucina insieme ai morti). Realizzato dalla Zerplan Records – misteriosa etichetta che nasconde inquietanti riferimenti strategici – in sole 148 copie – misteriosa quantità che nasconde inquietanti significati numerologici – è uscito il 20 aprile scorso – misteriosa data che nasconde inquietanti significati cronologici. I 148 esemplari, in realtà, sono a loro volta divisi in due sub-produzioni per fanatici di mode di pazzi: 99 pezzi per l’edizione “Svart” (ovvero vinile nero, che avevate capito?) e 49 dischi “Sì, siamo pazzi!” con l’elegantissimo vinile “marmo di Fragasso” (misteriosa essenza che nasconde inquietanti citazioni cinematografiche), impreziosita da un posterino miserabile e una toppa grossolana che però ciascuno di noi si cucirà al cuscino con la waifu per abbracciarlo la notte.
Ma il boccone più succulento del pacchetto è il volume “Nell’eclisse dell’effimero, del frammento, dell’irrisolto. Glosse al disco Del fare di Sartre la nostra puttana”. Un misterioso libricino che nasconde inquietanti citazioni dostojevskiane, un avvento su cui tutti stavamo sbavando da anni. Da quando Svart Jugend pubblicò il suo ultimo scritto, quel “Fuori piove sangue” un po’ deludente in quanto orbo dei suoi testi più celebri perché viviamo in un paese libero, non in una dittaturah, e qui puoi dire quello che vuoi, mica ti imbocca la polizia a casa alle 5 di mattina per sequestrarti il PC, metterci dentro foto compromettenti e poi farti passare sette anni di guai con la proverbiale velocità della magistratura italiana.
Ora con queste “Glosse” lo spettro che si aggira per l’Europa, Svart Jugend, ci racconta la genesi del disco, le urla disarticolate, gli Angeli Negri, le interminabili discussioni con Portofino, Barone Sangue e Carcassone (con Carcassone no, non erano interminabili, perché lui è comunista, quindi gli si dà ragione e basta così si passa al prossimo argomento). Le “Glosse” specificano: questo è il testamento, la pietra tombale, il “addio e grazie del pesce” di Svart Jugend, che muore definitivamente. Noi però non ci crediamo, o meglio noi crediamo solo a quello che vogliamo credere, e sappiamo che al bar di Innsmouth non ordini dal menu ma dal Necronomicon, e quindi non è morto ciò che può attendere per sempre. Quello che ci dà questo prezioso disco, con il suo misterioso volumetto e il posterino miserabile e la toppa grossolana è esattamente il contrario di quello che il pessimismo cosmico e assai ragionevole di Portofino, Barone Sangue, Carcassone e Svart vogliono: un segno. E dunque una speranza.
Avoja a dire “noi ce ne andiamo, scusate il disturbo”. Speriamo, sappiamo che Svart sarà ancora là, a quel tavolino del bar di Innsmouth con una Peroni da 666 e noi ci sogniamo seduti con lui, a commentare quelli che passano, canticchiando qualche battuta (ben) scelta di Fausto Leali ogni volta che ne passa uno.