Nel volume 4 del Dizionario Biografico degli Italiani, del 1962, Mario Barsali ha curato la voce Arezzo Tommaso. Si tratta di un cardinale, quindi di un principe di Santa Romana Chiesa, nato ad Orbetello il 16 dic. 1756.
Secondogenito del marchese Orazio, che al tempo comandava la guarnigione dello Stato dei Presidi, e da Marianna Fitzgerald e Browne, irlandese, nata a Dublino da Tommaso dei duchi di Leinster, gran scudiero del regno d’Irlanda. Tralasciamo gli studi e la carriera ecclesiastica dell’Arezzo, per cui non basterebbe un intero articolo e concentriamoci su due passaggi. Primo: il Nostro è un mio antenato, precisamente, fratello del bisnonno di mia madre, di cui avevo sempre sentito parlare in famiglia, ma senza approfondire; secondo: dopo essere stato inviato, nel 1803, come Nunzio (ambasciatore) nella Pietroburgo dello Zar e varie vicissitudini legate ai ribaltoni delle alleanze nella politica internazionale, Tommaso Arezzo è richiamato a Roma da Pio VII e, quando, nel febbraio del 1808, le truppe francesi occupano la città eterna, il 6 Settembre viene arrestato, condotto in Toscana e poi in Piemonte; infine, nel marzo 1811, confinato in Corsica, prima a Bastia, successivamente rinchiuso nella cittadella di Corte, per aver rifiutato il giuramento di fedeltà a Napoleone e l’adesione alla dichiarazione gallicana (che contestava il potere temporale del Papa). Dalla Corsica, Tommaso fugge il 30 Dicembre e ci lascia uno scorrevole racconto, come lo definisce Barsali, Mia fuga da Corsica (Palermo, Tipografia Pontificia 1903), pervenutomi dagli archivi familiari.
Ho quindi idealmente ripercorso al contrario l’itinerario del mio antenato. Cominciando col leggere, in traghetto, da Livorno a Bastia, le sue peripezie. Per la cronaca, nel 1813, dopo la fuga, Egli arrivò a Cagliari, dove si era istallata la corte sabauda, rimanendovi fino all’abdicazione di Napoleone; s’imbarcò quindi per Genova col re Vittorio Emanuele, andò a Savona ad incontrare Pio VII, rientrando a Roma il 24 maggio 1814. Successivamente sarebbe diventato cardinale col titolo di S. Pietro in vinculis e legato di Ferrara, fino al 1830.
Va detto che nel nostro illustre Tommaso ho riconosciuto l’aria di famiglia per due caratteristiche: Uno, non si fa gli affari suoi e quando un intellettuale corso, che grandemente favorisce la sua evasione, gli manifesta idee liberali, non si limita a ringraziarlo, ma deve a tutti i costi convertirlo, invitandolo a bruciare i libri di Voltaire e Diderot…; due, mostra una passione per la buona tavola.
Per quest’ultima prerogativa lo riconosco davvero sangue del mio sangue ed è diventato il mio idolo quando, dopo aver descritto le dure tappe della sua evasione (ci sono angusti pagliai, e topi che gli pascolano sulla testa, e ristrettezze varie), racconta, infine, di un pasto decente, che comprende, appena: “un piatto di tagliolini in brodo, mezzo pollo e due trote…”
Tommaso è anche uomo colto e bravo narratore dotato di ironia, cosa non comune per chi si trovi nella sua posizione. Mia Fuga da Corsica è zeppo di citazioni dantesche; inoltre, mentre il protagonista sta scappando sulle asperrime montagne isolane a strapiombo sul mare, che mi hanno fatto innamorare, non gli sfugge il potenziale comico della vicenda, tanto da chiamare scherzosamente in causa il Torquato Tasso della Gerusalemme Liberata e da autoparagonarsi alla bella Erminia in fuga… “Intanto Erminia infra /l’ombrose piante /d’antica selva dal cavallo è scorta: / Né più governa il fren / la man tremante; / E mezza quasi par tra / viva e morta.”
Se certi arcaismi nella prosa la rendono inesorabilmente datata e in alcune parti la narrazione si fa noiosa, le descrizioni della natura restituiscono intatta la bellezza di una regione. Da cui Tommaso fugge, ma in cui Felice si rifugia.
Perché vi trova la Sicilia di 50 anni fa, però senza siciliani. Perché può andarvi col cane senza problemi e cacciarvi le beccacce fino al 19 Febbraio. E, a causa del caldo anomalo, fare anche il bagno nel mare più azzurro che c’è, senza che nessuno gli dica: “ma come, fai il bagno in Febbraio?”
Infine, ma non per ultimo, per cacciare in Francia basta avere un porto d’armi per uso caccia italiano, un’assicurazione e un tesserino italiani e pagare la tassa di concessione francese per la frazione temporale effettivamente utilizzata. Tutto online, nell’arco di una settimana. Senza problemi, discussioni, contestazioni.
Uno Stato amico, una burocrazia sostenibile, un Paese civile. In questo potremmo copiare, ma non lo faremo mai.
Sono così tornato in Balagne, sulle orme del Cardinale, ritrovando la bellezza sconvolgente dei luoghi che avevo lasciato in luglio, senza fucile. Io e Coco, la mia bracca francese. Sono partito con 50 cartucce, tornando con 49. Ho tirato solo a un colombaccio, eppure mi sono divertito tanto. Coco ha fermato 5 pernici rosse, cui avrei potuto sparare, ma non era stagione. Le è saltato davanti ai piedi anche un coniglio selvatico, cui qui consentono di tirare, ma non ne ho avuto l’opportunità.
Nonostante la grave siccità, abbiamo anche trovato una beccaccia. Fermata bene, dal di fuori del vallone, dove scorreva un piccolo corso d’acqua. Ma era una beccaccia di febbraio ed è partita bassa bassa, senza neppure consentirmi di far fuoco. Né sono valsi a qualcosa i successivi tentativi di individuarne la rimessa. Ho cacciato col campano, perché ormai ho rinunciato al beeper, che pure sono stato tra i primi a utilizzare in Europa. Sono un vecchio tradizionalista che non vuole rovinare la quiete e la bellezza della natura con suonerie elettroniche…
Ultima notazione. Il secondo giorno, quando stavo per andar via, mi son venute incontro tre persone. Avevano in mano taccuini, penne e macchine fotografiche. D’istinto ho pensato a guardiacaccia e mi sono messo sulle difensive, pronto ad esibire i documenti. Erano solo locali intenzionati a scattare foto panoramiche. Ci siamo scambiati i saluti e cortesi informazioni sulle reciproche attività. Nessun apprezzamento sulla caccia e il fucile; un complimento a Coco e ognuno per la sua strada. Che bello! Caro antenato cardinale, i tempi cambiano, eccome! Oggi converrebbe fuggire in Corsica, non dalla Corsica…