Nei giorni scorsi il quotidiano argentino “Perfil” ha realizzato una lunga intervista ad Alberto Buela Lamas, uno dei più noti filosofi della politica sudamericani. Settantaquattro anni, già docente alle università di Barcellona, Buenos Aires e Mar del Plata, teorico della metapolitica (presente con i suoi scritti sulla rivista di studi “Trasgressioni”), Buela proviene dalla composita famiglia politica del peronismo e da alcuni decenni è considerato vicino alle posizioni della “nuova destra” europea. Barbadillo.it ha estrapolato e tradotto le parti dell’intervista più interessanti dal punto di vista politico.
L’opzione “metapolitica”
La metapolitica è una semplice attività culturale o deve necessariamente precedere un’azione politica?
“
Ci sono due opzioni. Quella francese dice che si deve fare metapolitica senza azione politica. Noi, invece, sosteniamo che è necessario fare metapolitica però con un solido ancoraggio alla politica. E abbiamo un grande bisogno di studiarla (la politica, ndr), soprattutto in Argentina, dove ci troviamo di fronte a un governo progressista, di sinistra, liberale e socialdemocratico, nel quale ha più influenza Bob Dylan di Peròn. In qualche modo dobbiamo rendere più chiaro questo miscuglio”.
E lei come farebbe a renderlo più chiaro?
“Invece di parlare di diritti umani parlerei di diritti dei popoli. Al posto di privilegiare le minoranze, privilegerei la maggioranza. Al giorno d’oggi il governo privilegia le minoranze a scapito della maggioranza, benché si dica peronista. A differenza però di ciò che ha sempre fatto il peronismo”.
Il presidente Alberto Fernandez non è peronista?
“No, non lo è”.
La metapolitica applicata alle categorie che esistono in Argentina sarebbe quindi differente dalla metapolitica applicata alle categorie europee o nordamericane?
“Sì, è molto diverso. In Europa il nazionalismo è il contrario del patriottismo ed è mal visto. Da noi invece il nazionalismo è una tendenza patriottica”.
Il nostro nazionalismo è la “grande patria”? (tendenza politica di derivazione bolivariana all’unificazione del Sudamerica di lingua spagnola ndr)
“Sì, chiaro. Non può esistere un nazionalismo europeo, gli Stati sono in conflitto fra loro, hanno alle spalle cinquemila anni di guerre, come possono formulare questo nazionalismo? Noi invece siamo ancora in tempo”.
Qual è la sua opinione circa l’uso della metapolitica da parte della nuova destra?
“La nuova destra sbaglia approccio con la politica, vuole fare metapolitica senza affrontare l’azione politica. Applica il pensiero di Gramsci però visto da destra. Secondo me non ha nessun senso mettersi a pensare come modificare le categorie che condizionano l’azione degli agenti politici e poi non fare nulla per intervenire in questo processo”.
La nuova destra non promuove nessuna azione politica di partito perché considera che i partiti politici siano stati superati dai mega-apparati mediatici? Quindi sostiene che sia lì che si debba portare avanti la lotta.
“È una metapolitica senza finalità, una metapolitica accademica. Vuol dire fare filosofia come Cartesio, dalla sua scrivania: vede passare un uomo con l’ombrello e quindi discetta dalla sua campana di vetro. Questa non è neppure filosofia: uno agisce come pensa o finisce di pensare sulla base di come agisce?”.
Lei parla dell’ipocrisia politica come una tirannia senza volto, una lebbra dello spirito e una forma di democrazia totalitaria. La ricerca del consenso assoluto è così grave?
“Il consenso assoluto ci distruggerebbe, ci porterebbe a un’umanità priva dei migliori. Noi non siamo un Paese indipendente, siamo un Paese dove molta gente se ne vuole andare, dove diventa una gloria personale ottenere la doppia cittadinanza. Abbiamo perduto l’idea di patria, se n’è andata, è fuggita. È scomparsa la sovranità. Lei si ricorda quando il ministro Dante Caputo, nel governo di Alfonsìn (primo presidente civile dopo la dittatura militare, appartenente al partito di centrosinistra Uniòn Civica Radical, ndr), disse: “Signori, bisogna abbandonare l’idea di sovranità, è un intralcio politico”? Ebbene, se non abbiamo un’idea di sovranità, a cosa serve far politica?
Il consenso sarebbe quindi solo un modo per nascondere sotto il tappeto i problemi che si deve risolvere?”
Lei lo segnala come un difetto legato al progressismo.
“C’è uno straordinario filosofo italiano, Massimo Cacciari, che è stato due volte sindaco di Venezia. Era del Partito comunista ma poi l’ha lasciato ed è stato anche fidanzato con l’ex moglie di Berlusconi. È un filosofo che studia l’estetica, ma si occupa anche di politica. In un libro parla della “pace apparente”, dice che questi governi del consenso amministrano i conflitti ma non li risolvono. E’ un’osservazione grandiosa”.
Secondo lei Fernandez non sarebbe un presidente peronista.
“Lui stesso si definisce come liberale di sinistra, socialdemocratico. L’ha sempre detto, non solo adesso. E ha sempre detto che su di lui ha avuto più influenza Bob Dylan di Peròn. Quando è stato eletto presidente ha dichiarato: “Non ero mai entrato nella sede della CGT” (il principale sindacato argentino, da sempre peronista, ndr). È un uomo gradevole, ma per quanto riguarda le idee è un po’ frivolo, poco serio: un presidente eletto nel nome del peronismo non può dire certe cose. Non ha mai proposto di rifondare il tema della comunità, a maggior ragione in una comunità così varia e complessa com’è l’Argentina. Abbiamo migliaia e migliaia di libere aggregazioni popolari, corpi intermedi, organizzazioni professionali. In America Latina siamo la società che ha il maggior numero di organizzazioni popolari”.
E Cristina Kirchner è peronista?
“Non la conosco a sufficienza, non ho mai letto nulla di suo. È stata presidente per otto anni e ci sono stati gravissimi casi di corruzione”.
Il kirchnerismo è un’evoluzione del peronismo?
“Per dirla con un eufemismo, il kirchnerismo è un’altra cosa rispetto al peronismo. Non si può scartare l’idea che sia una variante giovanile e contemporanea del peronismo, così come non si può dire che tutti i kirchneristi sono ladri. È’ impossibile darne una definizione precisa, bisogna dire che è una variante del peronismo, ma nulla di più. Non giunge a confrontarsi con il tema ideologico del peronismo, il kirchnerismo non solleva nessun problema ideologico. Sinceramente non trovo nessuno di loro in cui riporre speranze”.
Ma il peronismo esiste ancora?
“No, il peronismo ha smesso di esistere da molti anni. Peròn è morto, sono rimasti i peronisti ma il peronismo non esiste più. E ciò capita perché non c’è più nessun criterio, ad esempio (nel partito, ndr) non c’è un criterio nelle sanzioni, non esiste più un collegio di probiviri che sanzioni i comportamenti. Il peronismo è come un agrumeto, ha presente? Ci sono le arance e ciascuno può entrare e prendere quelle che preferisce. Senza sanzioni non ci sono regole. Il peronismo ha ancora una dottrina politica, ma non ha le regole che disciplinino questa dottrina. È successo lo stesso che sta capitando alla Chiesa cattolica, non ha regole. Tutti sono cattolici a loro modo, è il trionfo del “Catholic cafè”, come dicono i nordamericani, il cattolicesimo “alla carta”. Con il peronismo succede lo stesso: è diventato un movimento politico “alla carta””.
(traduzione di Giorgio Ballario)
Verissimo. Personalmente avevo posto fiducia in Menem, che fu un peronista atipico. Aveva buone idee, ma finì travolto dal Deep State peronista ed argentino, purtroppo. Il peronismo era già morto durante la prima presidenza di Perón, schiacciato dal populismo demagogico e sinistrorso di Evita. Perón abbozzava e si scavava la fossa…