Centotrentasei voci in 271 pagine, un vero e proprio dizionario, agile, ma ricco di spunti interessanti: questo, in estrema sintesi l’ultimo libro di Mario Bozzi Sentieri, firma nota della stampa e della pubblicistica alternativa, significativamente intitolato L’idea partecipativa dalla A alla Z. Principi ,norme, protagonisti (I libri del Borghese, euro 19). Nomi noti si alternano a figure poco conosciute, la Dottrina Sociale della Chiesa scivola accanto a quella mazziniana, il sindacalismo rivoluzionario fa il paio con la proposta partecipativa d’impronta gaullista, l’idea corporativa viene declinata con le diverse opzioni della democrazia (si spazia da democrazia aspirazionale a democrazia sostanziale). Ce n’è abbastanza per aprire nuovi approfondimenti e destare curiosità, particolarmente da parte di un pubblico giovane in cerca di nuove idee forza in grado di affrontare il tempo sterile dell’antipolitica. Un libro insomma da tenere sulla scrivania o sul comodino per farsi accompagnare sulle ali della curiosità intellettuale. Per cogliere il senso del suo libro abbiamo intervistato l’autore, che così lo racconta ai lettori di Barbadillo.
Mario Bozzi Sentieri, con “L’idea partecipativa dalla A alla Z” rilancia un tema caro all’area patriottica: da dove nasce l’idea di questo saggio?
“Intanto dalla necessità di fare sintesi, rispetto ad un tema intorno al quale, da due secoli a questa parte, si sono sedimentate analisi, esperienze, volontà diverse, coniugando, all’interno di una cornice più ampia, le problematiche sociali e quelle relative alla crisi della rappresentanza politica, i temi dell’etica e dell’economia, della valorizzazione delle competenze e della partecipazione alla gestione delle aziende. In seconda istanza di offrire un panorama degli autori che su questi crinali si sono impegnati, spesso arrivando, senza conoscersi, a soluzioni omogenee. Terzo dato, che mi piace sottolineare, la volontà di non limitare alla sola dimensione fascista o neofascista, tematiche che vanno ben oltre il Ventennio e l’esperienza italiana. Questo – sia chiaro – non certo per sminuire l’importanza del corporativismo italiano, quanto anche per riconoscere il valore universale dell’Idea partecipativa”.
In copertina c’è un manifesto peronista: perché questa scelta?
“L’immagine “La Naciòn en marcha”, tratta da un manifesto peronista del 1947, vuole significare il valore di una visione della politica, della vita e del mondo, che si fa universale, trovando nella “nazionalizzazione” il punto focale di un progetto di integrazione sociale ancora in divenire”.
Quanta eredità di Gaetano Rasi in questo percorso di ricerca?
“Gaetano Rasi è stato un punto di riferimento essenziale della dottrina partecipativa post fascista. Nato nel 1927, Rasi ha riletto l’esperienza e la dottrina del corporativismo italiano, alla luce delle trasformazioni della società postbellica, della crisi del sistema rappresentativo italiano, delle necessità di una realtà socio-economica complessa, nella quale competenze e rappresentanza dovevano essere riconosciute e coniugate. Rasi è stato un grande intellettuale ed insieme un organizzatore entusiasta, attraverso l’Istituto di Studi Corporativi e la rivista ad esso collegata: un’esperienza che va studiata e valorizzata in termini di metodo e di contenuti”.
Quali le riviste che in Italia hanno elaborato le piattaforme più avanzate sul tema?
“Certamente la “Rivista di Studi Corporativi”, edita dall’Istituto di Studi Corporativi ed uscita dal 1971 al 1992, diretta prima da Diano Brocchi, poi da Gaetano Rasi e da Franco Tamassia. La rivista raccolse l’esperienza del pensiero corporativo post-fascista e della cosiddetta “sinistra nazionale”, muovendosi su un piano rigorosamente scientifico. Ma tutto il milieu della destra culturale e politica italiana si trova impegnato su questi temi, che costituiscono quello che Rasi, nella sua ultima opera, ha definito come il “progetto alternativo”, in grado di giocare un ruolo significativo sia negli anni della “guerra fredda” (tra sistema liberal-capitalista e comunismo a trazione moscovita), sia nel tempo della post ideologia globalista. Per ricordare qualche testata, soprattutto per sollecitare la curiosità di chi si avvicina oggi a queste problematiche, vanno citate le testate: “La Rivolta Ideale”, “Nazione Sociale” di Ernesto Massi, “Pagine Libere” (rivista uscita, in varie serie, nel 1946, nel 1956, nel 1961 e nel 1988), “Area”, ideata e promossa da Gianni Alemanno e da Francesco Storace, sulla quale Giano Accame trovò la sua ultima tribuna giornalistica. Ma – come già detto – tutta la pubblicistica “alternativa” è sempre stata segnata da queste tematiche”.
Gli ideali di partecipazione si saldano con una idea compiuta di democrazia?
“L’idea partecipativa non tenta solo di sanare la storica fattura tra Società e Stato, tra Lavoro e Nazione, una frattura portato della Rivoluzione borghese dell’89 e della rivoluzione industriale, quanto anche tra rappresentanza democratica e corpo sociale. Una parte significativa del mio libro si occupa del tema della democrazia, dei suoi limiti attuali, dei limiti della partitocrazia e quindi della necessità delle soluzioni partecipative. La crisi del vigente sistema di rappresentanza è evidente a tutti. Non a caso, negli ultimi anni, è fiorita una ricca letteratura impegnata a evidenziare i limiti di quella che viene definita una “democrazia recitativa”, dove il popolo è – di fatto – un comprimario, mentre a prevalere sono spesso gli interessi delle oligarchie di partito ed economiche. L’Idea partecipativa va oltre le critiche trasversali verso il sistema cosiddetto democratico di rappresentanza, prospettando soluzioni reali, costruite sulla valorizzazione del mondo del lavoro e delle competenze, dei territori e delle professioni. E’ un’ipotesi, su cui credo valga la pena porre attenzione ed impegnarsi di conseguenza, uscendo finalmente dal tunnel dell’ antipolitica, che ha segnato l’ultimo quindicennio”.
C’è una medesima attenzione per la questione partecipazione in altri paesi europei?
“La contestata e contestabile Europa ha alla sua base un’aspirazione partecipativa, costruita soprattutto sulla cogestione, termine che identifica la partecipazione attiva dei lavoratori nei processi decisionali delle aziende. E’ del 1974 il primo programma di azione sociale, finalizzato a garantire il diritto dei lavoratori all’informazione, alla consultazione e alla partecipazione. Si trattava di linee generali, lasciate all’iniziativa dei singoli Stati membri. Alcuni di essi, a cominciare dalla Germania, hanno un’ampia legislazione in materia, dall’altra parte c’è l’Italia molto tiepida nel realizzare gli stessi dettati costituzionali, a cominciare dal più volte citato art. 46, che “riconosce il diritto dei lavoratori a collaborare, nei modi e nei limiti stabiliti dalle leggi, alla gestione delle aziende”. L’aspirazione partecipativa a trazione europea, da realizzarsi nelle aziende, non ha però visto un analogo impegno verso i sistemi di rappresentanza politica, che mostrano sempre più l’usura del tempo, al di là dei diversi meccanismi elettorali”.
Sindacati e partiti di sinistra: come si schierano sul tema?
“La sinistra italiana, erede di una cultura conflittuale, per anni ha rifiutato qualsiasi opzione partecipativa, diciamo di stampo tedesco, che depotenziasse il conflitto di classe. Con il venire meno dei vecchi riferimenti ideologici, si è però assistito ad un graduale interesse verso le opzioni partecipative, senza peraltro che questo significasse un impegno vero e proprio per passare dalle parole ai fatti. Ne hanno parlato, in tempi diversi, Walter Veltroni, che ha visto nella cogestione uno dei grandi obiettivi sociali di un nuovo Partito Democratico, Susanna Camusso, Segretaria Generale della CGIL, Sergio D’Antoni, figura di spicco di un sindacalismo cattolico più attento però alla conflittualità che – secondo i dettami della Dottrina Sociale – alla concertazione. Dopo che per decenni il tema è stato un elemento esclusivo del Msi e della Cisnal, poi Ugl, bisogna registrare l’impegno di Maurizio Sacconi, Ministro del Lavoro e delle Politiche Sociali dell’ultimo Governo Berlusconi, che, nel 2010, con il Codice della partecipazione, ha avviato un percorso condiviso finalizzato a realizzare una via italiana alla partecipazione dei lavoratori ai risultati di impresa, percorso che purtroppo si è interrotto con la fine, nel 2011, dell’ultimo governo di centrodestra”.
Sul piano legislativo e su quello industriale quali sono i laboratori aperti in questo momento in Italia?
“Purtroppo in Italia il tema della cogestione aziendale è sottoposto ad uno sfibrante stop and go, con spinte innovative, che sembrano destinate ad aprire una stagione partecipativa, poi bloccate o comunque non applicate integralmente. La strada italiana si muove sul piano delle singole contrattazioni aziendali, ma manca la volontà politica di applicare il sistema in modo diffuso, sulla base di chiari indirizzi normativi. E’ poi assente la volontà di sviluppare organiche politiche di concertazione sociale e di integrazione nel sistema istituzionale delle competenze. Lo si è visto in occasione dell’emergenza sanitaria. Mentre il Consiglio Nazionale dell’Economia e del Lavoro, previsto dalla Costituzione ed operativo dal 1958, stenta a svolgere un ruolo di compensazione sociale rispetto alla crisi del sistema rappresentativo a base partitica”.
Dopo la “Rassegna” dalla A alla Z, ha un nuovo progetto editoriale in cantiere?
“Intanto mi auguro che il mio libro serva a riattivare l’interesse su temi ed autori, oggi messi nel dimenticatoio. Le questioni della rappresentanza sociale, della crisi del parlamentarismo e dei partiti politici richiedono una nuova consapevolezza partecipativa. A questo si aggiungano le problematiche relative alla gestione dei processi determinati dalla globalizzazione. Ci sono poi le nuove frontiere della rivoluzione tecnologica, dell’industria 4.0, dell’intelligenza artificiale e quindi dei lavori emergenti. Rispetto a questi scenari occorre individuare le nuove vie dell’integrazione sociale e della giustizia economica. L’Idea partecipativa appartiene il futuro ? Io credo di sì, ecco un tema su cui dovremo misurarci, offrendo nuove occasioni di confronto e rinnovate ipotesi di lavoro. Nella misura in cui il futuro ha un cuore antico, l’Idea partecipativa, ritrovata nella sua essenza e complessità, ha un grosso compito da svolgere. Il mio invito è ad esserne consapevoli e di muoversi di conseguenza, sul piano culturale, sociale e politico”.