Il centrodestra sopravviverà alle Regionali o questo sarà l’ultimo ballo della coalizione così come la abbiamo conosciuta per oltre venticinque anni? Le differenze tra le sigle si acuiscono, Lega e Fdi gettano la croce addosso a Forza Italia che nemmeno con le rassicurazioni del suo capo e fondatore, Silvio Berlusconi, riesce a fugare i dubbi sulla tentazione del governissimo. Ma intanto, tra salviniani e melonisti il clima si è fatto a dir poco incandescente.
Ripensare Berlusconi
È da settimane che procede la beatificazione di Berlusconi. Non perché ne abbia bisogno ma per le solite ragioni di bassa bottega politica: il Pd ha bisogno di una sponda a un governo “responsabile” e punta decisa a Forza Italia. Che, da parte sua, non rifiuta il corteggiamento. C’è un problema gigantesco, grande quanto Milano 2. Vent’anni di feroce propaganda anti-Cav che la sinistra italiana dovrebbe rimangiarsi e, soprattutto, far ingollare alla sua base. La stessa che per due decadi ha costruito un (presunto) primato morale proprio giocando di rimessa ai casi giudiziari e politici patiti dall’ex presidente del consiglio. L’unica soluzione è agitare il solito spettro e rievocare metafore montanelliane, che ora torna buono anche dopo le polemiche sull’opportunità di imbrattargli la statua. Turatevi il naso, ragazzi: Berlusconi è meglio di Salvini e Meloni. Anzi, pure di Conte. Lo ha detto Carlo de Benedetti, non un dirigente Arci della provincia livornese.
Eterogenesi di Forza Italia
Intanto Forza Italia ha fatto infuriare gli alleati della coalizione perché in Parlamento s’è astenuta sulla legge anti-omofobia. Il pacchetto di misure Zan-Scalfarotto ha incrociato la scelta dell’astensione azzurra che ha fatto montare la rabbia degli altri due soci della compagine. In casa azzurra si sono affrettati a segnalare che l’apertura era a un confronto, un atto di buona volontà per instaurare un dialogo. E magari, con le buone, sfrondare un po’ delle norme contenute nel Ddl anti-omofobia che è stato criticato, per le misure dure contenute, anche dalla Conferenza episcopale italiana. In realtà, a Berlusconi si apre uno scenario di quelli che mai avrebbe immaginato: dopo aver sofferto, per anni, le ingerenze dei “piccoli partiti” che lui stesso avrebbe voluto cancellare instaurando un bipolarismo perfetto, Forza Italia si ritrova con una folta pattuglia di parlamentari in grado di poter incidere a fare la differenza in Parlamento. Sfrutterà politicamente l’occasione ma, chiaramente, si toglierà anche tutti i sassolini che negli anni gli hanno piazzato i “partitini” nelle scarpe.
La juniores di Salvini
Fratelli d’Italia e la Lega si trovano isolate. O meglio, Meloni è in netta ascesa nei sondaggi a discapito del “capitano” che invece – pur confermando la leadership della coalizione – pare in fase ristagnante. Un partito che punta forte a riprendersi (almeno) le percentuali che ebbe Alleanza Nazionale non può che aprirsi. E per farlo, dopo aver corteggiato e arruolato pezzi e settori interi di Forza Italia, si presenta sui territori con candidati strutturati e accordi locali utili anche in chiave elettorale futura. Ciò che manca alla Lega dalla Toscana in giù. Al Sud, dove si gioca la partita decisiva, Salvini ha commissariato tutto e avviato una fase di de-destrizzazione dei quadri di partito, ora affidati (per lo più e dove possibile) ai giovani guidati da Andrea Crippa. L’obiettivo è creare e formare una classe dirigente nuova, senza “peccati originali” precedenti. Da plasmare e costruire da zero. Ma ciò pesa sui territori e sono sempre di più i circoli locali e provinciali che vedono avvicendarsi dirigenti e militanti che, dopo aver preso schiaffi e sputi (talora letteralmente) ora si ritrovano pure abbandonati dal loro stesso partito.
“Oltre destra e sinistra” non basta più
Salvini si vede insidiato da Meloni che, se si parla di destra, non può che trovarsi a giocare in casa. Dunque deve scompaginare anche perché deve andare fino in fondo nel concetto del superamento di destra e sinistra. Lo stesso che ha fatto il successo di M5s e, a latitudini differenti, di Marine Le Pen. Ma che adesso non può più bastare da solo e infatti, sia i Cinque Stelle – logorati da una fase governista – che il Front National (logorato dall’isolamento istituzionale) sono in netto calo. L’ultima uscita del capo della Lega, quella su Berlinguer, ha spiazzato la destra popolare che, per quanto stimi e rispetti l’ex segretario del Pci, non può certo trovarselo tra i suoi Lari. Come ha detto Veneziani a cui Salvini ha risposto con una certa (e mal dissimulata) acredine. I nervi sono scoperti.
Chi sale, chi scende, chi se ne va
Insomma il quadro è questo: Forza Italia viaggia sempre più al centro, dialoga con tutti e sa bene che per governare servono le poltrone. Fratelli d’Italia è in crescita e sogna di tornare ai fasti elettorali di un tempo, incalza sui temi, segnala e scava differenze “tra noi e loro”, si prende la legittimità di parlare a destra proseguendo la tradizione politica che affonda le radici nel Msi e la credibilità di Giorgia Meloni inizia a dare più di un grattacapo a Matteo Salvini. La Lega pare in ambasce perché è in fase di ricollocamento e sconta, sui territori, il limite del partito “leninista”: quando c’è da esprimere la preferenza, il “capo” da solo non basta più. Specialmente se viene percepito in fase calante mentre alle spalle scalpita Luca Zaia, pronto a riprendersi la Lega e a riportarla, stabilmente, al Nord. Intanto la politica (che ha già superato destra e sinistra classiche) va ricollocandosi su posizioni differenti e pone le tre anime del centrodestra alla prova decisiva: le differenze, così marcate e incolmabili, gli screzi e gli scontri potranno salvare l’ultima testimonianza della seconda Repubblica oppure a Barletta, a Casamicciola, a Macerata, a Cecina, il centrodestra ballerà il suo ultimo giro di tango?