In un momento in cui proteste divampano come incendi, dando origini a focolai di rivolte più o meno pacifiche che durano ormai da diverse settimane e che ci vengono riproposte in ogni dove dalla stampa (mi si permetta il termine) mainstream, la volontà di capire ciò che avviene è ammirevole e aiuta a centrare il problema, ricollocandolo correttamente (spoiler: Indro Montanelli in questa storia non c’entra niente). Si parta dal presupposto che il razzismo negli Stati Uniti è sistemico ed è qualcosa che noi europei, per la nostra storia e conformazione sociale, deficitiamo a capire. Non c’entra con gli episodi di razzismo ugualmente esecrabili che possono esperire le minoranze nostrane.
L’aggettivo sistemico serve a mettere in luce il fatto che esso nasca in seno al sistema sociale stesso, con atti e atteggiamenti inconsapevoli di persone che, probabilmente, nemmeno si accorgono di compierli. Per provare a capire qualcosa che noi giocoforza non conosciamo, è sempre cosa utile rivolgersi al passato perché historia magistra vitae recitavano i latini, con buona pace di chi ora il passato vorrebbe nasconderlo, cancellarlo, imbrattarlo perché è cosa scomoda e con cui è difficile fare i conti. In maniera né leggera né leggiadra, ci arriva in aiuto la decima musa. No, non parliamo qui di Via col Vento (ci si limiterà a ricordare che nel 1937 la Mitchell vinse un Pulitzer con un romanzo che tutto voleva e poteva, tranne che fare della critica sociale in un momento in cui le ferite del paese erano sin troppo fresche e lacerate).
La vergogna di ieri
Il passato in questione è ben più recente e non siamo nemmeno in uno stato del profondo Sud Confederato. Niente Sweet Home Alabama o Georgia.
Si parla qui del 1989 e dell’orrendo delitto che avvenne a Central Park: lo stupro e il tentato omicidio di una jogger, una vicenda che ebbe un notevole risalto all’epoca sulla stampa statunitense. Del crimine furono accusati cinque ragazzi, quattro afroamericani (Antron McCray, Kevin Richardson, Yusef Salaam e Korey Wise) e un latino americano (Raymond Santana Jr.). Come l’indagine venne condotta ve lo lascio raccontare dalla serie, che spiega benissimo il concetto di sistemico di cui sopra: non solo violenze della polizia, ma un insieme di ingranaggi in cui per forza di cose la minoranza non è schiacciata: senza o con pochi mezzi finanziari, di influenza e persino culturali (benissimo è rappresentata la barriera linguistica dei latinos), è un Davide contro Golia dove l’astuzia e la bravura non bastano.
Le mancanze dell’indagine sono tutte lì: linee temporali distorte in un modo che nemmeno il sistema quantistico più ardito, confessioni estorte con il raggiro, violenza e soprusi. E poi vite spezzate, interrotte dall’esperienza del carcere, un’ordalia che sacrifica famiglie, amori e amicizie.
Una critica totale
Il terreno su cui si muove When They See Us è scivoloso, ma questo la rende solo più bella e veritiera: la vittima principale, Patricia Meili, non deve essere mai scordata, ma a lei si aggiungono altre cinque vittime le cui vite sono fratturate in maniera diversa ma ugualmente irrimediabile ed è impossibile non empatizzare con i protagonisti o con i loro genitori, mostrati nella fragilità tipica di chi sa che qualsiasi cosa faccia sbaglierà. Non è il dilemma del prigioniero, è il dilemma del condannato.
La vicenda si snoda su quattro puntate , ora su Netflix, da poco più di un’ora l’una che coprono l’arco temporale tra il delitto e il momento in cui si scoprirà il vero colpevole, tredici anni più tardi. La denuncia della regista e produttrice Ava DuVernay (di cui ricordiamo anche il pregevole Selma) arriva forte e chiara e mira al sistema delle ipocrisie statunitensi: quelle dei giornalisti che si limitano a spiattellare una storia preconfezionate, buona a far vendere copie, quelle di un sistema giudiziario che deve vincere cause per guadagnarsi il consenso pubblico, senza fermarsi a pensare a quella che sarebbe la sua vera missione e per cui la giustizia vera diviene un accidente marginale. Serie come When They See Us allenano lo spirito critico e fanno bene per la loro qualità (un plauso va anche agli attori, sopratutto gli interpreti dei giovanissimi Central Park Five.
Verrà forse voglia di mandare avanti, tanto sono forti certe immagini, quanto frustrante sia guardare quello che avviene sullo schermo e pensare che è avvenuto davvero. Più volte, vi verrà in mente la frase di Frodo Baggins in conclusione del Signore degli Anelli, quando chiede: “Come fai a raccogliere le fila di una vecchia vita? Come fai ad andare avanti quando nel tuo cuore cominci a capire che non si torna indietro? Ci sono cose che il tempo non può accomodare, ferite talmente profonde che lasciano un segno”. Non solo in questo caso in chi le vive ma in un’intera nazione.
Tutta colpa di Lincoln…
No, dei Confederati che hanno perso la guerra. Che non fu determinata, se non per propaganda, dalla questione schiavista. Si scontravano un ‘idea confederale di Nazione (Sud) e quella federale (Nord). Anche al Nord c’erano inizialmente Stati schiavisti. In ogni caso la schiavitù sarebbe durata al massimo altri 20 anni. Poi l’immigrazione e le macchine l’avrebbero resa troppo costosa ed inutile. E gli Stati Confederati avevano tutto il diritto di andarsene, diritto costituzionale, che l’infame Lincoln conculcò…
Werner. Da buon juventino ti dirò che l’unica cosa che conta, nel calcio, nella vita, nella storia è…vincere!
Mi ricordo del processo al famoso Simpson che non venne dichiarato colpevole, contro ogni evidenza, solo perchè la giuria era prevalentemente composta da afroamericani!
Troppi privilegi alla minoranza afro, questa la verità, troppi posti garantiti ad Harvard, nell’esercito, nella dirigenza federale ecc. Troppa abitudine al vittimismo ed alla violenza impune.
Da Netflix si può aspettare solo…spazzatura liberal.
@Guidobono
Ah certo, se Lincoln perdeva la guerra civile si sarebbe scritta un’altra storia. E come sappiamo, la storia la scrivono sempre i vincitori, vera o falsa che sia. Lincoln era un repubblicano, ma era all’origine un whig, ossia un liberale. E infatti nel Partito Repubblicano, per buona parte conservatore, molti ebbero scontri con lui ed erano avversi all’abolizione della schiavitù. Grande sostenitore di questo provvedimento fu all’epoca Thaddeus Stevens, che aveva una relazione clandestina con la sua domestica nera.
Comunque sì, il vittimismo afro é insopportabile, e purtroppo gode di molta eco per colpa dei radicalchic, tutti bianchi e autorazzisti. Intanto qui in Italia abbiamo quel Soumahoro, che minaccia lo sciopero della fame se il governo non regolarizza tutti i 500 mila clandestini, non introduce lo ius soli e non abroga i Decreti sicurezza e la Bossi-Fini. Vengono qua e si permettono di dire al governo del paese in cui sono ospiti quali provvedimenti deve fare: ma chi ca**o si credono di essere? Poi parlano sempre di diritti, ma guai se ad essi si parla di doveri, é “razzismo”.
Sì, il vittimismo afro fa impallidire anche quello partenopeo-maradoniano…
Lincoln era un idealista, forse un fanatico (come tanti idealisti), ma non un disonesto. Se fosse stato per lui, la pace non sarebbe stata punitiva nei confronti del Sud. Dopo la guerra civile, sosteneva, non ci dovevano essere vincitori e vinti, ma una sola nazione. Le circostanze del suo assassinio restano oscure: non escluderei che il fanatico sudista che l’assassinò sia stato manovrato. Dopo la sua morte al Sud venne imposta una pace punitiva: il diritto di voto fu sottratto a quanti avevano militato nell’esercito confederato e concesso in massa ai negri, nella stragrande maggioranza analfabeti e facilmente manovrabili. Dal Nord calarono i cosiddetti carpetbagger, politici corrotti che profittarono della situazione per amministrare gli Stati sconfitti depredando i residenti con l’aiuto degli ex schiavi. Per il Sud furono anni terribili: stupri, tasse espropriative, umiliazioni e in quella congiuntura tragica nacque il KuKluxKlan con l’intento di difendere i bianchi e soprattutto le bianche. Non è un caso se il primo capolavoro della cinematografia statunitense è “Nascita di una nazione”, che si conclude con l’intervento dei cavalieri incappucciati che salvano dalla violenza carnale alcune donne bianche.
Prima di parlare di violenza endemica della società statunitense bisognerebbe ricordare tutto quello che il Sud ha sofferto dopo la guerra di Secessione e prima di proporre una sorta di indennizzo di 120.000 dollari a tutti gli afroamericani, bisognerebbe chiedersi se a pagarlo non dovrebbero essere anche i discendenti dei mercanti arabi che li vendettero ai negrieri europei. Quando Cassius Clay decise di convertirsi all’Islam, non sapeva o faceva finta di non sapere che i suoi discendenti erano andati a raccogliere il cotone grazie all’intermediazione di qualche negriero musulmano.
Quanto alle violenze della polizia, credo sia giusta una precisazione: la polizia, negli Stati Uniti, è violenta con tutti, bianchi e neri. E’ un po’ come la Militar Police rispetto alle nostre ronde di prima dell’abolizione della leva: il caporonda fermava il militare di truppa se aveva un bottone aperto, ma davanti all’ufficiale si metteva sull’attenti comunque. L’MP manganella chiunque, se è il caso, caporale o generale. Se muoiono più afroamericani è perché commettono più delitti, ma l’ordine perentorio di sdraiarsi sul confano della macchina può capitare a tutti. E’ una conseguenza dell’endemica violenza della società americana, che non dipende dalla facilità di accesso alle armi, ma di cui semmai quest’ultima è una conseguenza. Una società in cui, come si vede negli sceneggiati, la gente è costretta a rubare per pagarsi le cure oncologiche e si viene licenziati per sms non può non essere una società violenta; ma non è una questione di razza. Volere il diritto alla salute garantito per tutti era stata una delle buone idee del presidente “abbronzato”, al di là dei modi con cui cercò di attuarla.
Fondamentalmente sono d’accordo più, o meno,con tutti i commenti. L’intervento di Platini però è veramente magistrale, assai interessante e condivisibile in ogni singola virgola.
Bene, Platini, d’accordo. Ma il diritto alla salute per tutti, a fronte di parcelle mediche ormai milionarie, rimane un’utopia…
Gli afroamericani organizzati ed i loro ammiratori e sponsor bianchi stan rompendo gli zebedei, perchè non c’è alcuna proporzione tra il fatto e la reazione.
La violenza americana nasce dalle modalità di nascita della nazione, coloni ribelli, ex schiavi, immigrati. Un Melting Pot sognato ma mai veramente attuato. Il problema afro è ben superiore a quello asiatico o chicano, a dimostrazione che il razzismo non c’entra o pochissimo.
…i nativi, la frontiera ecc… Una nazione che ha legittimato sin dall’inizio l’uso della violenza. Forse che la politica di Washington (capitale), non solo i mainstream movies, non è un inno alla violenza omicida in nome della ossessiva sicurezza nazionale?
Il diritto generalizzato alla salute è una delle ragioni dell’arrivo di centinaia di migliaia di ‘migranti’ in Italia e, successivamente, delle loro famiglie, a volte con mille pesti addosso, che l’italico Pantalone pagherà…. In Svizzera lavora da anni in una grande industria farmaceutica un cugino di mia moglie. Non può portare la madre ottantenne a vivere a Basilea perchè gli svizzeri non le concedono la residenza permanente, in quanto non può avere alcuna assicurazione medica, se non una temporanea per 90 giorni, poichè non ha mai lavorato in Svizzera! E non è questione di pagare…
Italia Paese ridicolo. Ma che ci faceva l’obeso carico d’oro Sergio Sylvestre a cantare l’Inno, dimenticandosi pure una strofa? Quando saremo una Nazione almeno parzialmente seria, non sbattuta dal vento idiota dei media della fogna liberal?
Ben detto Platini !! Complimenti. E in questo caso non conta nulla essere juventini.
Concordo con tutti i commenti, a grandi linee. Comunque non esistono pasti gratis, anche la sanità ha i suoi costi, qualcuno dovrà pur pagarli i medici e gli infermieri, e se non li paghi al momento del servizio li paghi tramite le tasse (modo più subdolo e meno trasparente). Io privatizzerei totalmente la sanità, al limite prevedendo un sistema di assicurazione obbligatoria (mi sembra il modello olandese), mi dispiace ma il debito pubblico non è più sostenibile. Al di là della tematica “sanitaria”, la vedo nera per l’uomo bianco, corroso al suo interno dai sensi di colpa e all’esterno dall’ipocrisia. Emblematica la morte del grande Raspail proprio in questi giorni.