La parata del 2 giugno non si farà, per ovvi motivi precauzionali. Se è bastato il passaggio su molte città italiane della pattuglia delle Frecce Tricolori per provocare allarmanti assembramenti, figuriamoci che cosa sarebbe successo lungo i Fori Imperiali.
Debbo confessare però che non mi dispiace. Non perché io sia un antimilitarista, anche se da buon toscano mi piace scherzare sui militari come su tutto, a partire da me stesso. Ma perché ho un troppo alto senso del prestigio delle Forze Armate per riconoscermi in una manifestazione che di militare conserva ben poco, e in cui accanto a reparti depositari di antiche e gloriose tradizioni sfilano magari obiettori di coscienza “pentiti” divenuti ufficiali dei vigili urbani.
Non avverto la mancanza di una parata liofilizzata come quella dello scorso anno, che il presidente della Camera Fico dedicò a “rom, sinti e migranti” e l’allora ministra della Difesa consacrò al tema dell’inclusione, come se compito primario e “sacro dovere” delle Forze Armate non fosse difendere la Patria escludendo dal territorio nazionale chi tenta di penetrarvi abusivamente. Non mi sarebbe piaciuto trovarmi dinanzi alla replica di quella parata love&peace, che accentuò il solco fra Salvini e i 5stelle e non sarebbe dispiaciuta agli hippy che negli anni Sessanta volevano mettere fiori nei cannoni, forse perché non avevano palle. È pur vero che dal pubblico gli applausi più sentiti scattano quando sfilano i reparti “ginnici e bestiali”, depositari di un passato glorioso, ma che pena vedere parà, lagunari, incursori mescolati ai boy scout del volontariato.
Ricorrenza poco inclusiva
C’è comunque un altro motivo per cui non avverto molto la mancanza di una parata sempre meno militare: è la data. Fra le tre grandi feste nazionali – il 25 aprile, il 2 giugno e il 4 novembre – quella che celebra l’anniversario del referendum istituzionale è la meno inclusiva, perché quel referendum vide il corpo elettorale italiano diviso in due, perché l’alea del sospetto accompagnò la proclamazione dei risultati, perché la devozione al re rimase a lungo viva, tanto che negli anni ’50 molte importanti città del Sud vennero governate da amministrazioni in cui svolgevano un ruolo egemone partiti che facevano appello al sentimento monarchico, perché lo stesso primo capo dello Stato era di sentimenti filosabaudi. Lo stesso 25 aprile, se non fosse per l’uso strumentale che ne è stato fatto, è una festa nazionale più inclusiva. Se il neofascismo è stato un fenomeno politico dal limitato peso elettorale, specie da Firenze in su, dove aveva infierito la guerra civile, un italiano su due nel ’46 votò per la monarchia (e forse a far pendere la bilancia dalla parte della Repubblica fu il voto dei “repubblichini” e delle loro famiglie, fornito dal latitante Pino Romualdi in cambio dell’amnistia, nonché l’opera di delegittimazione della dinastia sabauda e del principe ereditario operata dopo l’8 settembre a Salò e dintorni).
Sia ben chiaro: non mi pongo la questione istituzionale e non voglio nemmeno sollevare ancora una volta l’interrogativo su quanto le “calcolatrici di Romita” abbiano influito sui risultati. Nemmeno i referendum che portarono all’unità d’Italia furono immuni da brogli, basta pensare allo sdegno dell’organista Ciccio Tumeo nel Gattopardo per rendersene conto, o ricordare la minaccia con cui i fattori del barone Ricasoli, grande viticultore, portavano inquadrati i mezzadri a votare per l’annessione del Granducato di Toscana al Regno d’Italia: chi non vota non pota. Non voglio evocare nemmeno i morti di via Medina, popolani partenopei (il più giovane aveva quattordici anni, gli altri poco di più) falciati dai mitra di una polizia infiltrata da elementi comunisti, perché protestavano contro la sede del Pci che, a risultati non ancora proclamati, aveva esposto il Tricolore senza lo stemma sabaudo.
Ho giurato 44 anni fa come militare la fedeltà “alla Repubblica italiana ed al suo Capo”, e tanto mi basta. Ma per me la vera festa nazionale che meriterebbe una parata è quella del 4 novembre, ricorrenza di una guerra sanguinosa ma gloriosa, che ha portato a compimento la nostra unità nazionale non solo dal punto di vista geografico, ma morale. E che è stata la sola, all’epoca del governo di solidarietà nazionale, ad essere di fatto abolita. Seicentomila caduti agli occhi dei nostri politici contavano meno di qualche scheda nulla.
Concordo col commento. Meglio nulla che le buffonate sinistro-vaffanculesche degli ultimi anni…
Concordo anch’io su meglio il nulla. Non condivido l’opinione del Nistri sul fatto che il 25 Aprile come ricorrenza sia più inclusiva del 2 Giugno, perché a mio avviso é al contrario una festa divisiva. Lo é perché da 75 anni a questa parte ripropone il noioso derby fascisti-antifascisti e il mito fasullo della Resistenza, cose che impediscono la formazione di una memoria storica condivisa. Ma la cosa ancora più penosa é che il 25 Aprile viene festeggiata la nostra sconfitta militare.
Il 2 Giugno si festeggia la nascita della Repubblica, per il referendum costituzionale che vide la scelta republicana prevalere non troppo su quella monarchica, e negli ultimi anni sempre più storici hanno preso in considerazione l’ipotesi dei brogli elettorali da parte dei comunisti. Anche se a mio avviso anche i democristiani con il loro “libertà di scelta” hanno contribuito a far vincere l’opzione repubblicana. Certamente molti ex fascisti, sia quelli del Ventennio che quelli della RSI votarono Repubblica coerentemente con la loro rinnegata fede politica, perché ricordiamolo, il Fascismo nasce repubblicano, e lo stesso Mussolini mal sopportava la diarchia con Vittorio Emanuele III, il quale era in debito con Benito che con la sua rivoluzione del ’22 salvò la Monarchia sabauda, che sarebbe stata sicuramente rovesciata qualora ci sarebbe stata una rivoluzione ben peggiore, quella comunista.
La cosa più stupida del 2 Giugno é che ogni volta sembra venga celebrata la nascita dello Stato italiano, che in realtà é nato nel 1861, e perdipiù come monarchia costituzionale. Anche questa in nome dell’antifascismo, come se Fascismo e Monarchismo fossero sinonimi.
Nella mia vita ho quasi sempre trovato all’estero Addetti Militari e ufficiali, sotto ufficiali devoti al Politically Correct sfrenato con i quali ho sempre finito col litigare o quasi… Altrimenti si facevano affarucci vari in proprio… Fra i peggiori, purtroppo, i carabinieri, a partire da quelli addetti alla custodia, che potevano osservare impassibili un telefono suonare, in assenza di altri, e non alzare mai il ricevitore “perchè non mi compete!”…
Werner. Non credo proprio che i comunisti avrebbero preso il potere in Italia nel primo dopoguerra. Bastava schierare l’Esercito…
Certo che il proclama di Umberto, ancora Luogotenente, il 25 aprile 1946, degno dell’ANPI, non poteva poi portargli i voti di una parte politica…
Certo un Paese che da 74 anni celebra una sconfitta come massima festa nazionale e ‘popolare’ non può esigere rispetto all’estero… Di Maio studi, se può…
Il 2 giugno si celebra una truffa! Per quanto io non abbia più da molto tempo simpatie monarchiche…Poi critichiamo chi ci critica?
Il 2 giugno nel calendario Giuliano, che è il calendario dei nostri gloriosi antenati Romani (tuttora in vigore nei suoi fondamentali), il 2 giugno era Dies Religiosus, era cioè un giorno sfortunato perchè concidente con eventi negativi accaduti alla Res Publica che quindi sconsigliava attività sacre o profane
Concordo con l’opinione espressa da Werner, il 25 aprile è la “festa” più odiosa e passatista, che andrebbe abolita. Non sono d’accordo col 4 novembre, mi sembra anch’essa anacronistica. Il 2 giugno, bene o male, rappresenta la svolta istituzionale da Monarchia a Repubblica e dunque è la meno peggio!
@sandro
Però sai, il 4 Novembre almeno rappresenta una vittoria militare e il completamento del processo di unificazione dell’Italia. Ripeto, il 2 Giugno come il 25 Aprile viene strumentalizzato da una parte politica, la sinistra, però è vero che è meno peggio.
@guidobono
Nel primo dopoguerra, il pericolo rosso era concreto in tutta Europa, Italia compresa. Schierare l’Esercito da parte del Re avrebbe comportato la guerra civile. Poi è arrivato Benito con le sue Camicie Nere ed hanno evitato il tutto. Ma il rischio che i comunisti potevano prendere il potere lo ha creato la classe liberale che fu incapace di affrontare la grave crisi economica determinata dalla fine del conflitto.
Il proclama di Umberto II fu probabilmente un modo per attirare simpatie da parte dei sinistri per l’imminente referendum istituzionale, ma che gli servì a ben poco. Anche se l’esclusione delle province di Bolzano, Trieste, Pola, Fiume e Zara, e dei militari italiani reduci dalla prigionia, aiutarono non poco lo schieramento repubblicano. Tra l’altro la Venezia Giulia aveva patito le sofferenze dell’occupazione titina e i comunisti nostrani sfruttarono il fatto che fossero sotto i governi militari alleati, perché sapevano che avrebbero votato a maggioranza monarchia, come pure i militari italiani. C’è da dire anche che i partigiani comunisti al Nord avevano instaurato il loro potere, dove potevano minacciare o eliminare chiunque si schierasse per l’opzione monarchica. Altrimenti non si spiega perché al Nord il risultato più alto conseguito dalla scelta monarchica fu quello della circoscrizione di Cuneo col 48,1%.
Aggiungo anche che forse il re Vittorio Emanuele III avrebbe dovuto abdicare in favore del figlio Umberto già il 25 aprile 1945, visto che lui fu corresponsabile della disfatta militare italiana. Una mossa che a mio avviso poteva attirare più voti per la scelta monarchica, e invece lo ha fatto solo il 9 maggio 1946.
Bravo guidobono,tutto vero.E’ esattamente quello che mi disse mio Padre e che poi ebbi conferma dalle persone che vissero quel periodo.Purtroppo i rossi continuano propagandare falsità ed i rossobruni illusioni..
Semmai avrebbe avuto un senso l’approvazione (seppure mai ratificata da referendum popolare) della Costituzione, non quella della celebrazione di un referendum istituzionale colmo di carenze e di prevedibili (già da prima) brogli. Non per nulla Umberto, in caso di vittoria, aveva garantito la celebrazione di un secondo referendum quando l’atmosfera fosse più ‘normale’. E conscio che la Monarchia non si regge sul 50,01 %…Quello che non volevano le sinistre…
Gallarò. Gli uomini (talora le donne) della dinastia furono spesso una jattura, non l’istituto monarchico in sè, che seppur irrazionale (come una fede religiosa) ha una sua utilità psicologica, pratica in fondo… Se a questo mondo credi solo nelle cose con una logica profonda, ti suicidi prima di compiere i 18 anni… La vita è una schifezza, lo sappiamo tutti, il famoso pendolo che oscilla tra noia e dolore, eppur la natura ci spinge a procreare…
I comunisti italiani non furono in grado di far la rivoluzione nel ’45-’46 figuriamoci nel 1921!
Indipendentemente da opinioni più o meno bislacche,rimane il fatto dimostrabilissimo ed appurato che il referendum fu’ falsificato.PUNTO.
Gallarò. Anche la Monarchia britannica dal ‘700 è al vertice della massoneria… Smettiamola con demonizzare la massoneria (cosa da Tina Anselmi). È un po’ come essere cristiano. A parte che molti del 7-800 (ad esempio Ricasoli, per non parlare di de Maistre), potevano essere massoni e cattolici. Importa fino ad un certo punto… dipende da come lo sei… Si può essere massoni in 100 modi differenti…Erano massoni anche D’Annunzio, Balbo, Totò, Garibaldi, Cavour, Saragat… e tutti l’Italia che contava, con poche eccezioni… Un po’ come i Presidenti statunitensi, da Washington a Roosevelt a Clinton ecc. Tutti massoni!