Nel Manifesto dei conservatori (1972) Giuseppe Prezzolini puntava il dito contro le distorsioni del libero mercato e scriveva: «si è data troppa libertà alla fabbrica, alla macchina, al lusso. È la libertà che ha avvelenato l’aria, l’acqua e la terra». Ovviamente non alludeva alle libertà politiche, bensì all’indiscriminata libertà economica.
Si può infatti produrre qualunque cosa e in qualunque modo? Evidentemente no. La libertà senza regole in ambito economico risponde solamente al profitto e non al bene comune, ha costi ambientali, sociali ed esistenziali elevatissimi, si traduce nel saccheggio del territorio e nello spreco delle risorse. È sotto gli occhi di tutti l’immensa devastazione che lo sviluppo industriale sta cagionando all’intero pianeta, quella che Guido Ceronetti definiva «la desertificazione tecnica del mondo».
Emblematico di uno sviluppo non sostenibile e deleterio, ancora una volta, è il caso delle acciaierie di Taranto, su cui si è abbattuta l’ennesima tegola giudiziaria: i dirigenti dell’ex Ilva, infatti, secondo le indagini in corso pare – secondo gli inquirenti – che abbiano fornito dati falsi sulle emissioni sostenendo di aver inquinato meno a parità di produzione.
Nessun governo, né quello attuale né i precedenti, hanno preso di petto il problema di Taranto, del suo inquinamento, dei tumori e delle malattie polmonari che le acciaierie cagionano all’intera cittadinanza, ignorando così la volontà di buona parte dei tarantini di lasciarsi per sempre alle spalle l’industria siderurgica e di puntare sulla cultura e sul turismo di qualità.
Non a torto, la giornalista Valentina Petrini in un articolo apparso sulla Gazzetta del mezzogiorno del 4 luglio 2024 (“Taranto tra libri e musica ma nessuno provi a nascondere la polvere”), dopo aver osservato che finalmente «si è spezzata la catena di dipendenza dalla fabbrica», si chiede «quando arriverà il momento per mettere sul tavolo un piano di presa in carico delle tute blu e il superamento di un’industria ormai espulsa dal mercato? Quanti altri pronunciamenti giudiziari internazionali servono per accertare che le persone vengono prima?».
La soluzione meramente tecnica del problema, come quella prospettata da Legambiente, consistente nel passare in tempi rapidi ai forni elettrici, alimentati prima a gas e poi definitivamente a idrogeno, appare, ad avviso di chi scrive, illusoria. Infatti in che modo e dove si produrrebbe tanto idrogeno? Non sarebbe meglio dismettere gradualmente questa industria inquinante e bonificare l’area con le maestranze attualmente occupate o in cassa integrazione? Non sarebbe preferibile rimboschire questa immensa e desolata area e installare una grande centrale fotovoltaica che servirebbe l’intera città di Taranto?
Bisogna in questi casi avere il coraggio della radicalità nelle scelte. Il benessere della natura, di cui le persone fanno parte, è il fondamento della speranza.