I nuovi rinoceronti
Qualcuno si ricorda di Eugène Ionesco, uno dei fondatori del teatro dell’assurdo? Profugo romeno, naturalizzato francese e membro dell’Académie, fece un certo scalpore nei primi anni ’70 quando partecipò al congresso internazionale della cultura di destra, intitolato “Intellettuali e libertà”, che Armando Plebe, responsabile culturale del Msi, organizzò a Torino nel gennaio del 1973. Ma anche in seguito Ionesco fece scandalo, denunciando il trattamento degli intellettuali da parte del regime comunista romeno e prendendo dopo il ‘68 posizione a favore dei giovani di destra del Groupe Union Défense non perché ne sottoscrivesse l’ideologia, ma perché riteneva assurde le accuse da loro subite (uno di loro era Jack Marchal, musicista e disegnatore, inventore dei famosi “topi di fogna” da cui la nota rivista giovanile; ma questo è un altro discorso).
Insieme alla Cantatrice calva, l’opera più nota di Jonesco è Il rinoceronte, del 1959, surreale apologo sulla fragilità dell’individuo dinanzi al richiamo dei regimi totalitari, ma soprattutto, aggiungerei, del conformismo. È la storia di un’epidemia che comincia in una cittadina della provincia francese, per allargarsi poi a tutto il Paese. Di fronte a un’invasione di rinoceronti, i cittadini dapprima si ribellano, poi gradualmente si rassegnano (“Dopo tutto, sono creature come noi, che hanno il diritto alla vita allo stesso modo di noi!”) e si “rinocerontizzano” tutti, tranne uno. È una metafora della fortuna dei movimenti e regimi totalitari, che prima suscitano ripugnanza e resistenze, poi vengono gradualmente accettati.
L’Europa nel corso di questo dopoguerra ha conosciuto due forme di “rinocerontizzazione”: la prima nei confronti della minaccia sovietica, la seconda nei confronti della massiccia penetrazione di immigrati musulmani. Entrambi i fenomeni sono stati deterministicamente considerati inarrestabili e di conseguenza accettati. Quante persone prima dell’89 abbiamo sentito belare che in fondo il comunismo è un’eresia cristiana e che comunque il trionfo della Russia nella guerra fredda era inevitabile, per cui tanto valeva scendere a patti con i nuovi padroni? E in quanti considerano l’avvento dell’Eurabia, per dirla con la Fallaci, un fenomeno inarrestabile?
Oggi si assiste a una nuova forma di “rinocerontizzazione”, questa volta nei confronti della Cina comunista. L’atteggiamento tenuto in occasione del Coronavirus rappresenta una cartina tornasole per comprendere la disposizione di governi, istituzioni internazionali, esponenti politici nei confronti di Pechino. Ha cominciato l’Organizzazione mondiale della sanità, che all’inizio ha minimizzato la pericolosità della pandemia e ha fatto di tutto per non collegarla, anche nella denominazione, alla Cina; ma nemmeno l’Unione Europea è stata da meno, almeno a quanto rivelato da un’inchiesta del “New York Times”. Il quotidiano, che di tutto può essere accusato tranne che di sostenere la politica di Trump, ha accusato l’Ue di aver ammorbidito un rapporto in cui venivano precisate le strategie di propaganda e censura cinese.
Al di là del contenzioso sulle maggiori o minori interferenze di Pechino, è indubbio che la Cina anche in Italia abbia saputo tutelare la sua immagine in maniera imprevedibile visto che la pandemia, sia stata essa provocata dalla pessima igiene di un mercato degli animali selvatici vivi, sia uscita da una provetta, è comunque partita dal suo interno e la sua pericolosità è stata a lungo negata o sottataciuta. Si avverte anzi presso parte dell’opinione pubblica una sorta di ammirazione per come ha saputo arginare la diffusione del Covid al suo interno e per gli aiuti che sta distribuendo con la cosiddetta diplomazia delle mascherine. Andando avanti di questo passo, temo che alla fine dovremo essere noi a chiedere scusa alla Cina di esserci fatti infestare, e non viceversa.
Molti fattori possono contribuire a questo stato d’animo: l’ammirazione che nei momenti di crisi larghe fasce della popolazione possono avvertire per i regimi totalitari, in grado di garantire sicurezza con provvedimenti draconiani (avvenne negli anni Trenta, in presenza di una crisi economica, non sanitaria, a vantaggio sia dell’Urss sia dell’Italia fascista e della Germania nazionalsocialista), l’opportunismo, ma soprattutto la convinzione che la Cina sarà la futura potenza egemone. E, si sa, specie noi italiani, siamo sempre pronti ad aiutare a vincere il vincitore o presunto tale.
Ho sempre reputato Alessandro Di Battista uno degli esponenti più intelligenti e simpatici del Movimento Cinque Stelle, forse perché è rimasto fuori dai giochi di potere, e gli ho perdonato volentieri molte ingenuità e qualche scivolata terzomondista. Il fatto che abbia anteposto la famiglia alla carriera parlamentare ha rafforzato la mia stima per lui.
Ricordo ancora quando mi recai alla Versiliana di Pietrasanta, il 3 agosto dell’anno scorso, alla presentazione del suo pamphlet “Politicamente scorretto”. Ad affiancarlo c’era un Pietrangelo Buttafuoco in forma strepitosa, ancora più politicamente scorretto di lui. Erano i giorni critici in cui pareva che la frittata fatta da Salvini si potesse riparare e che grazie anche alla “voce del sangue” di “Dibba” e di Di Maio fosse possibile evitare il matrimonio d’interesse fra pentastellati e Pd. Fu brillante, applauditissimo, abbracciatissimo dalle numerosissime fan, descamisado, e disse molte cose giuste, per esempio sull’utero in affitto, ricordando che non esiste un diritto a essere genitori, ma un diritto dei figli ad avere dei genitori. Se fosse dipeso da lui il governo giallo-rosso non credo che si sarebbe fatto.
Per questo mi dispiace che abbia auspicato per l’Italia un asse con la Cina, che “vincerà la terza guerra mondiale”. Intanto perché gli “assi” non hanno portato fortuna a noi italiani altro che a briscola, come non ci ha portato fortuna schierarci dalla parte che presumiamo vincente. E poi perché gli Stati Uniti hanno mille difetti, come li ha l’Unione Europea, ma sono infinitamente migliori di una nazione come la Cina che abbina il darwinismo sociale del turbocapitalismo alla mancanza di libertà di un regime comunista. Per questo spero che Di Battista cambi opinione, o che la sua esternazione sia stata dettata più da disistima per Bruxelles che da stima per Pechino: dispiace sempre vedere un bel cigno trasformarsi una mattina in un ruvido rinoceronte.