Quanto ci costerà la pastiera?
In gioventù, per quello spirito romantico che ci spinge spesso a immedesimarsi nelle ragioni dei vinti, provai simpatia per la causa del Mezzogiorno d’Italia dopo l’unità, che consideravo vittima della conquista piemontese. I miei riferimenti storico-letterari erano alti: dall’esaltazione della Napoli spagnola da parte di Francisco Elías de Tejada a romanzi come L’alfiere o L’eredità della priora di Carlo Alianello. Per tacere della rivista “L’Alfiere” dell’indimenticato Silvio Vitale.
Mi identificavo con i soldati e i contadini rimasti fedeli al loro re, mentre gli alti ufficiali e i grandi possidenti scendevano a patti col nuovo ordine e una neoborghesia di “mastri” divenuti “don” si appropriava delle terre destinate a usi civici e dei beni ecclesiastici.
Col tempo ho in parte rivisto il mio giudizio, rendendomi conto che sotto il velo dell’ideale il brigantaggio fu spesso delinquenza comune e che il generale Borjes, inviato da Francesco II a trasformare le bande in un esercito regolare, fu abbandonato al suo destino dal brigante Crocco, che voleva continuare a fare i suoi comodi. Resta il fatto che il Regno delle Due Sicilie conobbe dopo l’Unità un periodo di grande depressione economica, pagata con un’emorragia migratoria protrattasi fino alla grande guerra.
A farmi rivedere le mie opinioni ha contribuito anche la fioritura nel Mezzogiorno di una vasta pubblicistica neoborbonica, volta a giustificare, in forza dei torti subiti un secolo e mezzo fa, la perenne richiesta di sussidi nei confronti del potere centrale. Non ho mai condiviso l’insofferenza di molti settentrionali nei confronti dei “terroni”, anche perché secondo me non è possibile parlare del Mezzogiorno come realtà omogenea: se lo stabilimento dell’Alfasud fosse stato aperto in provincia di Bari invece che a Pomigliano d’Arco, avrebbe avuto una ben diversa fortuna. Ma non mi piace neppure l’industria del piagnisteo, l’affannosa ricerca da parte dei bisnipoti dei torti subiti dagli antenati per rivendicare risarcimenti non solo morali.
Gli sviluppi della pandemia hanno ulteriormente complicato i rapporti fra Nord e Sud. Se le regioni settentrionali e in particolare la ricca e operosa Lombardia, hanno subito e continuano a subire gravissime perdite, quelle del Sud sono state relativamente risparmiate. Per molti meridionali si tratta di un’amara rivincita, anche a non voler utilizzare il più esplicito vocabolo tedesco Schadenfreude, che significa “piacere provocato dalla sfortuna”: ovviamente quella altrui.
In questo contesto più psicologico che politico credo occorra collocare le dichiarazioni del presidente della Campania De Luca, che ha minacciato di chiudere i confini della sua regione a lombardi e veneti, come se fosse un suo feudo e non una parte di territorio italiano, soggetto alle leggi della Repubblica. E lo ha fatto mentre i presidenti delle regioni del Nord manifestavano l’intenzione di riaprire le fabbriche.
Spiace dirlo, ma in questo atteggiamento – al di là del giudizio sull’opportunità o meno di avviare la fase2 – si manifesta quella che, ben più della “conquista” piemontese, è la vera origine del gap del Mezzogiorno rispetto al Centro-Nord. Mentre, pur duramente toccati dalla pandemia, veneti e lombardi cominciano già a rimboccarsi le maniche, perché sanno che chi non lavora non mangia, De Luca incoraggia i suoi amministrati a rimanere chiusi in casa a prepararsi la pastiera: tanto a sfamarli provvederà lo Stato con sussidi e redditi d’emergenza. C’è da stupirsi se al Nord, e non solo al Nord, saranno in molti a chiedersi se questa pastiera ci costerà un po’ troppo?
La natura non è maschilista (ma neppure femminista)
Il Coronavirus è femminista? Parrebbe di sì, a giudicare dalle tante, forse troppe, trasmissioni dedicate alla natura e alle origini della pandemia. Una nota virologa ha constatato con una punta di orgoglio che il contagio colpisce nettamente di più gli uomini delle donne, con un rapporto di 4 a 1 (ma il presentatore dice di 8 a 2, che è la stessa cosa, però fa più effetto). Ora le percentuali paiono ridimensionate, ma il dato resta impressionante. La maggior longevità della popolazione femminile può essere una spiegazione, anche se non basta a spiegare il divario. C’è chi spiega il fenomeno con la maggiore attenzione delle donne all’igiene (è vero!) e la minor percentuale di fumatrici femmine (questo vale soprattutto per le classi anagrafiche più anziane, quelle più colpite dal virus; oggi le ragazze fumano quanto i maschi: le pari opportunità purtroppo varranno anche per il tumore ai polmoni). Sono dati da valutare con attenzione, come quelli relativi alla minore incidenza del virus sugli africani (fattori genetici o benefici dei vaccini contro la Tbc?), ma non fra gli afroamericani, che anzi sono fra i più colpiti.
Fra le ricercatrici c’è chi non si limita a constatare la maggior “resilienza” (parola sempre più di moda, al posto dell’inflazionata resistenza) delle donne al virus, ma prospetta addirittura un ruolo fondamentale del sesso debole – rivelatosi in questo caso più forte – in quelli che saranno la ripartenza e il “ripopolamento” dopo l’emergenza. Questo trionfalismo mi lascia tuttavia perplesso. Se la pandemia dovesse fare strage di maschi, che soddisfazione avrebbero le donne “resilienti” a trovarsi in tante e con scarsi partner, a meno di non fare un ricorso generalizzato all’inseminazione artificiale e a convertirsi in massa ai costumi dell’isola di Lesbo?
Dopo la prima guerra mondiale, che falcidiò in prevalenza i maschi giovani, c’è stata tutta una generazione di donne condannate a matrimoni di ripiego o allo zitellaggio, alimentando le schiere delle vecchie che secondo Leo Longanesi avrebbero dovuto salvarci con la loro saggezza, ma non salvarono se stesse. La stessa situazione, a parti rovesciate, si è verificata di recente in Cina, per l’imposizione dall’alto del figlio unico che spinse sciaguratamente molti genitori all’aborto selettivo: un femminicidio preventivo che ha costretto molti giovani cinesi rimasti a corto di coetanee donne a “importare mogli” da altri paesi. Il gender gap, come lo chiamano gli studiosi, non conviene né ai maschi né alle femmine. La natura non è maschilista, ma neppure femminista.
Basta diatribe. Il Sud, tutto, vada per la sua strada, senza risentimenti o rimpianti. Non eravamo nati per stare assieme, fu una gran sciocchezza. Tutti l’abbiamo pagata cara. In tanti modi. Ripariamo. Per me la ‘Linea Gotica’ sarebbe una sorta di confine naturale, ma se il Granducato di Toscana, i Ducati e le Legazioni vorranno unirsi al Nord saranno accettati, credo.
Questo federalismo demenziale approvato dal centrosinistra sulla spinta della Lega bossiano e del Polo delle Libertà è demenziale. Abolire le regioni,e reintrodurre le province.
Gallarò. Non mi pare che le Province siano state abolite. Anche perchè andrebbe contro uno dei capisaldi della politica: sempre aumentare decentramenti, autonomie, cariche, funzioni, parlamenti, assemblee, consigli, corti ecc. Il capitale cerca d’incrementarsi, ma nel tragitto lascia normalmente posti di lavoro, manufatti, opere ecc. La politica solo le ossa spolpate dei contribuenti… come nei deserti di Walt Disney quando eravamo piccoli…