Giallo sui generis, con abbondanti dosi di noir e sfumature di thriller giuridico e psicologico, “L’attesa” di Matsumoto Seichō, recentemente edito da Adelphi, si discosta un poco dai precedenti “Tokyo Express” e “La ragazza del Kyūshū”. Se questi ultimi, infatti, erano imperniati sugli aspetti più convenzionalmente “gialli” (alla Hercule Poirot o alla Sherlock Holmes, per intenderci), e dunque sulla meticolosa ricostruzione di tracce, testimonianze e orari ferroviari per verificare gli alibi dei sospettati di un delitto, “L’attesa” è invece in primis il ritratto di Isako, una dark lady ambiziosa e avida sposata con un uomo molto più anziano, vedovo, benestante, che tiranneggia, allontana dalle figlie di primo letto e tradisce a ogni piè sospinto.
La vittima e il colpevole sono dunque chiari fin dal primo momento, e il dubbio investigativo verte più che altro sul “come” e sul “quando”, piuttosto che sul “chi” e sul “cosa”. La partecipe curiosità del lettore più avveduto, però, si concentra almeno altrettanto sulle citazioni letterarie “classiche” di Seichō: se, infatti, il rapporto fra i due coniugi, a un’analisi più approfondita, non può non ricordare certe dinamiche di perversa sottomissione proprie dei romanzi di Tanizaki, l’idea della protagonista di tenere un “finto diario” rimanda anch’essa a Tanizaki (tanto al “Diario di un vecchio pazzo” quanto alla celeberrima “Chiave” che ispirò Tinto Brass), i personaggi del teppista Ishii e dei suoi amici assomigliano a quelli de “La banda di Asakusa” di Kawabata e l’espediente che la protagonista escogita per poter vedere il suo amante avvocato nella soffitta della casa coniugale fa inevitabilmente pensare a “La belva nell’ombra” di Edogawa Ranpo, padre nobile di tutti i giallisti nipponici e forse finanche del “Detective Conan” dell’anime e fervente ammiratore di Edgar Allan Poe – al punto da copiarne il nome, giapponesizzandolo.
Ben lungi dall’incarnare la banalità del male teorizzata dalla Arendt, Isako è intrinsecamente malvagia, irredimibile, impietosa, accentratrice e sfacciata per natura, al punto da rischiare di rivelare troppo in anticipo il proprio piano per pura arroganza ed eccesso di ostentazione. Finisce quindi invischiata nell’omicidio di Noriko, la convivente di uno dei ragazzi giovani con cui si accompagna, e si trova costretta, sotto ricatto, a trovargli e pagargli un avvocato, onde evitare che scoppi uno scandalo; e l’avvocato, che ben presto diverrà suo amante, lo trova tramite un ex amante ben inserito in politica per ragioni di parentela. D’altra parte, le dice lo stesso avvocato, con nonchalance, “Il mondo è pieno di segreti come questi…”, mentre Shiotsuki, il suo amante di un tempo, tenta timidamente di giustificarla dicendo che la sua cupidigia, economica e sessuale, è una “questione di costituzione” delle “donne floride di carnagione chiara, con la pelle liscia e i fianchi sodi”.
Se il noir di Seichō è quindi uno specchio del mondo e della sua immoralità – e certamente non solo di quella del Giappone degli anni ’60 e ‘70, in pieno boom capitalista –, in questa babele di segreti i personaggi meno immorali di tutti, paradossalmente, finiscono per essere proprio i tre teppistelli di quartiere, di cui l’avvocato dirà, in un episodico afflato di onestà, “Anche i teppisti possono essere tenuti a bada. Talvolta si attengono al proprio dovere con più rigore delle persone normali”. Insomma, come cantava Bob Dylan una manciata di anni prima che Seichō scrivesse della sua femme fatale dagli occhi a mandorla, “to live outside the law you must be honest”… e ci meraviglierebbe alquanto se la storia di Isako non riuscisse a contagiare anche la Settima arte, dando vita a una sorta di remake estremorientale de “Il mistero Von Bulow”.
L’attesa di Matsumoto Seichō, Adelphi, euro 19