Ronaldinho potrebbe diventare l’Eroe dei Due Mondi del pallone. Il Gaucho, a 33 anni, trascina in finale di Coppa Libertadores il ‘suo’ Atletico Mineiro che ha superato, alla giostra dei rigori, gli argentini del Newell’s Old Boy grazie alla trasformazione decisiva proprio del ‘49’ bianconero ed a una prestazione maiuscola del portiere alvinegro Victor che ha ipnotizzato Maxi Lopez.
Davanti all’Atletico Mineiro rimane l’ultimo ostacolo: i paraguaiani dell’Olimpia Asuncion – prestigiosissimo club sudamericano che già tre volte nella sua storia calcistica ha alzato il trofeo continentale – che venderanno carissima la pelle ai brasiliani che, dopo la rimonta furibonda contro gli argentini di Rosario, si ritrovano sorprendentemente in lotta per la prima Libertadores da consegnare alla loro bacheca. Tutto in 180 minuti che si giocheranno nell’arco di un’intensa settimana. Andata il 17 luglio, ritorno il 24.
Per Ronaldinho il successo nella Coppa Libertadores sarebbe il coronamento di una carriera vissuta al top e lo consegnerebbe, di diritto, alla storia del calcio diventando uno dei pochi giocatori a vincere i due massimi trofei continentali per club in Europa ed in Sudamerica. Appunto, i due Mondi del calcio. Alla faccia di chi, leggi Felipe Scolari (ct della Selecao) e Adriano Galliani, ritenevano ormai bollito il Gaucho. Così, anni dopo aver conquistato la Champions League con il ‘suo’ Barcellona, quando Messi ancora gli faceva la riserva e si piazzava dietro di lui nelle pelose classifiche sui migliori calciatori in servizio permanente effettivo, potrebbe togliersi lo sfizio di vedersi incoronato re del Sudamerica ed Eroe dei due Mondi. A suon di assist, verticalizzazioni, corsa, cuore e classe cristallina. Vera e propria anima dell’Atletico Mineiro, una squadra tosta, coriacea che ha una storia ‘metacalcistica’ a dir poco affascinante. Non per niente l’emblema della squadra di Belo Horizonte è il gallo carijò, un grosso animale bianconero da combattimento, che ‘sconfisse’ la possibile alternativa, l’Indio. Un po’ come quando, in Italia precisamente a Bari, il fiero galletto la spuntò sul gentile pettirosso sulle maglie dei calciatori e nel cuore dei tifosi.
All’Atletico Miniero è legato anche uno dei tabù del calcio brasiliano ‘rotto’ solamente 8 anni fa, dopo 46 anni di assoluto e mistico rispetto. Era il 1969 quando i bianconeri di Belo Horizonte inflissero una roboante sconfitta alla magica Selecao che vincerà, contro l’Italia, i mondiali del ’70. Amaury ed il leggendario Dadà Maravilha segnarono due reti per gli alvinegri mentre il gol della bandiera per il Brasile lo siglò un tale di nome Pelé. Da allora (e fino al 2005) la federazione vietò tassativamente amichevoli tra la nazionale maggiore e le squadre di club in Brasile.
Adesso la Selecao attuale rischia una nuova scoppola che se assorbita in tempo – come quella rifilata a Rivelino, Tostao e compagni – potrebbe risultare decisiva per il futuro del Brasile che scenderà in campo ai mondiali in programma proprio in patria il prossimo anno. Ronaldinho, anima e trascinatore di una squadra come l’Atletico Mineiro, dimostra per l’ennesima volta ad un calcio troppo legato a denaro, gossip e visibilità a tutti i costi che classe e talento non sono legati né al fattore anagrafico né tantomeno ai giri di sponsor e procuratori che, in Brasile come altrove, la fanno ormai da padrone.
@barbadilloit