Trentanove anni fa il generale Juan Domingo Peròn lasciava il popolo argentino e si ricongiungeva, almeno in spirito, con l’amatissima Evita. Ma a quasi quattro decenni dalla sua scomparsa, il modello politico da lui creato non è morto. Anzi, è entrato a pieno titolo nella categoria delle dottrine politiche e, sia pure con le inevitabili variazioni che i tempi impongono, è rimasto vivo nella politica argentina. Anche nei trentanove annui successivi alla sua morte, il peronismo ha continuato a segnare la vita pubblica argentina, sia pure in forma annacquata e talvolta equivoca (si pensi alla presidenza Menem). Mentre la categoria politica del “peronismo” ha superato i confini del Sud America, anche se spesso è stata usata a sproposito, come puro sinonimo di demagogia e populismo.
Naturalmente non è così, anzi il peronismo entra a tutti gli effetti nel novero dei movimenti e delle teorie politiche fondamentali del Novecento, in gradi però, rispetto ad altre, di sopravvivere anche nel nuovo millennio.
L’esperienza peronista spicca il volo il 24 febbraio del 1946, quando Peròn si aggiudica la vittoria elettorale alla guida di una coalizione che raggruppava il Partido Laborista, il Partido Independiente e una costola scissionista della Uniòn Civica Radical, che assunse il nome di Junta Renovadora. Con lui si schierarono anche molte organizzazioni sindacali, tra cui la potente Confederaciòn General del Trabajo (Cgt). A contendergli la presidenza si era presentato Josè Tamborini, candidato della Uniòn Democratica, un fronte composito e ideologicamente raccogliticcio formato dalla Uniòn Civica Radical, dai partiti comunista, socialista, democratico-progressista, popolare cattolico e conservatore, sostenuto anche dalla federazione universitaria, dalla Sociedad Rural dei latifondisti agrari, dalla Uniòn Industrial (la Confindustria argentina), dalla Bolsa de Comercio e da alcuni sindacati legati ai movimenti di sinistra.
Una specie di “armata Brancaleone” tenuta insieme dal collante dell’antiperonismo ma anche, a livello organizzativo, dall’azione dell’ambasciatore statunitense Bruille Braden, che era un industriale minerario e lobbista per conto di numerose multinazionali americane insediate in Sud America (Standard Oil e United Fruit Company fra tutte). Braden fu il vero spin-doctor della campagna elettorale di Tamborini, nel corso della quale tentò di presentare Peròn come una specie di nuovo Hitler: a poche settimane dalle elezioni, diede alle stampe un dossier – il Libro Azul, preparato dal Dipartimento di Stato americano – nel quale, in caso di vittoria peronista, si sollecitava un intervento militare di Washington a causa dei presunti legami del generale Peròn con l’Asse, uscito sconfitto dalla Seconda Guerra mondiale. La coalizione peronista ebbe buon gioco a rispondere diffondendo nelle strade il Libro Azul y Blanco (i colori della bandiera argentina), nel quale si smascheravano gli interessi degli Stati Uniti e si presentava Tamborini come un fantoccio nelle mani dell’ambasciata Usa: «Braden o Peròn», fu uno degli slogan più efficaci della campagna elettorale.
Peròn vinse nettamente con il 53,1% dei voti, contro il 41,9 ottenuto da Tamborini, affermandosi per giunta in ogni provincia argentina ad eccezione di Corrientes. Subito dopo l’affermazione elettorale i tre principali partiti che l’avevano sostenuto si sciolsero per dar vita al Partido Unico de la Revoluciòn, poi chiamato Partido Justicialista o semplicemente peronista.
Il nuovo governo, uscito dalle urne del 24 febbraio, si distinse subito per alcuni elementi di rottura con le amministrazioni del passato, sia quelle civili che militari. Intanto per una questione di età media dei suoi appartenenti: Peròn aveva 51 anni, la stessa età del ministro dell’Educazione Ivanissevich; il ministro dell’Interno Borlenghi aveva 42 anni, Subiza (Affari Politici) 33, Carrillo (Salute Pubblica) 40, Bramuglia (Relazioni Esterne) 43, Cereijo (Finanze) 33. Non era un governo per vecchi, quello peronista. Il più anziano – l’ex militare Juan Pistarini, alle Opere Pubbliche, aveva 64 anni. Morirà in carcere dieci anni più tardi, messo in prigione dai militari golpisti che nel settembre del ’55 faranno cadere il secondo governo Peròn. Era innovativa anche la provenienza sociale e professionale dei ministri: Borlenghi era un sindacalista di idee socialiste, Bramuglia un avvocato specializzato in diritto del lavoro che assisteva i sindacati, Subiza un giovane professore universitario di diritto, Carrillo un neurochirurgo e Ivanissevich un medico chirurgo.
I primi provvedimenti del governo Peròn danno ragione alle preoccupazioni dell’ambasciatore Braden e del variegato fronte che si opponeva al generale: non che Peròn si dimostri un nuovo Hitler, ovviamente, ma fa subito capire di voler tagliare con il passato, con le ingerenze di Washington e con l’immobilismo del blocco conservatore che teneva in mano e paralizzava l’economia argentina. I veri interessi che stavano a cuore di Braden, Tamborini e della Uniòn Democratica.
Per capire meglio lo spirito del peronismo è sufficiente dare un’occhiata, a volo d’uccello, ai risultati ottenuti dal governo nei primi anni di attività. Viene sviluppata l’industria leggera e si fanno massicci investimenti nell’agricoltura per diminuire le importazioni; si nazionalizza il commercio estero con la creazione di un apposito ente che si occupa di trovare nuovi sbocchi sui mercati internazionali e di reinvestire gli utili nell’industria interna; nel ’47 si vara un piano quinquennale di sviluppo dell’industria pesante (siderurgia e produzione elettrica); nel ’48 lo Stato acquista le compagnie ferroviarie private (in maggioranza inglesi) e dà vita alle Ferrovie Argentine. Durante il primo governo peronista per la prima volta nella storia del Paese la componente salariale del Pil supera quella dei redditi azionari e della proprietà terriera.
A livello scolastico aumenta il numero degli iscritti alla scuola primaria e secondaria; viene creato un sistema statale unico di assistenza sanitaria e sociale; il numero dei posti-letto in ospedale passa da quattro per mille abitanti del 1946 a sette per mille abitanti nel 1954; vengono fatte grandi campagne per combattere malattie endemiche come malaria, tubercolosi e sifilide; nelle scuole diventano obbligatorie le vaccinazioni. Nel 1942 solo 6 milioni e mezzo di argentini disponevano di acqua corrente, nel 1955 sono 10 milioni; la mortalità infantile diminuisce da un tasso di 80,1 per mille nel 1943 al 66,5 per mille del 1953 e l’aspettativa media di vita, che nel 1947 era di 61,7 anni, aumenta a 66,5 anni nel 1953.
Nel 1947 viene dato il voto alle donne, fino ad allora emarginate dalla vita politica argentina; e viene stabilita l’uguaglianza giuridica dei coniugi all’interno della famiglia e in riferimento alla potestà genitoriale. Nel 1954 viene approvata la legge sul divorzio (il Italia arriverà 16 anni dopo), che alienerà per sempre le simpatie del Vaticano nei confronti di Peròn.
In politica internazionale il governo peronista – teorico della Tercera posiciòn fra capitalismo e comunismo – stabilisce relazioni diplomatiche con l’Urss e avvia scambi commerciali con i Paesi del Patto di Varsavia. Con gli Usa c’era già stato un riavvicinamento un anno dopo le elezioni, anche in virtù della defenestrazione dell’ambasciatore Braden.