La sua immagine è associata, dopo una lettura superficiale, esclusivamente al cabaret. Pippo Franco però è multiforme e prova, volta per volta, ad estendere la sua personale gamma di espressività artistica.
Pippo Franco è, per inserirsi in una semantica zen, nel “qui e ora”, ma anche altrove, mutevole e caleidoscopico artista sintonizzato sulle frequenze dell’arte più pura, autentica e, osiamo dire, sacra. Analizza, spacchetta e disarticola gli aspetti della realtà seguendo le facce e le tracce che di volta in volta assumono le fattezze dell’epoca in cui si trovano ad essere.
Nato a Roma nel 1940, Francesco Pippo ha seguito, sin da giovanissimo, un destino che aveva nella trascendenza, non solo artistica, la sua corda più profonda. Una maschera è divisa in due. Contiene un prima e un dopo, inglobando la storia di chi la porta mentre assume una storia propria e personale. Per Pippo Franco, in realtà, non è proprio così. O meglio, non solo. Più che maschera o icona, Pippo Franco rappresenta l’espressione artistica che avviene e si verifica al di là (o nell’essenza) della realtà. Ha raggiunto il sacro, passando per quello che viene chiamato profano. Un’esistenza composta da svariate facce, un prisma artistico che riflette ogni volta una particolare luce. Cantautore che inaugura un tipo di folk surrealista con echi di psicanalisi come La Licantropia e di scoppiettanti canzoni per bambini destinate ad entrare nelle hit parade (Mi scappa la pipì, Pinocchio ch’io). Esordisce come chitarrista, nel gruppo spalla di Mina, in un film che vede tra gli interpreti Domenico Modugno, Appuntamento ad Ischia, un musicarello. Pippo è solito descrive questo momento come una specie di bivio cui si è trovato suo malgrado, una scelta decisiva tra l’esame di maturità e l’inizio delle riprese cinematografiche. Sceglie la musica e la consegue la maturità nella sessione autunnale, perché ai tempi era ancora possibile. Il cinema lo accoglie come caratterista e coautore attraversando la frontiera culturale di quella che verrà apostrofata come “commedia sexy” elogiata poi dal critico Marco Giusti, ideatore di Stracult e fondatore (su frequenze pop) di Blob. Quel gran pezzo della Ubalda tutta nuda e tutta calda di Mariano Laurenti, Giovannona Coscialunga disonorata con onore di Sergio Martino, senza dimenticare prove d’autore come Che cosa è successo tra mio padre e tua madre? Ad opera del maestro della commedia Billy Wilder. Rimane impresso anche Due strani papà film che vede l’attore romano in coppia con Franco Califano, film che affronta il tema della paternità. È commedia, battito, ritratto di un costume che cambia, si muove e viene dirottato verso nuovi territori.
La fine degli anni settanta lo vedono come colonna portante del cabaret. La satira e l’attualità sono vivisezionate tramite grottesche maschere che rappresentano lo sberleffo della contemporaneità. È una satira però non esente da dissapori. Nata con il contributo di Castellacci e Pingitore tremendo cabaret satireggiante considerato ciarpame pecoreccio dall’intellighenzia radical chic (arriveranno ad epurare la squadra dalla Rai durante il periodo dei così detti “professori”), mentre, in realtà, reale satira del potere, con sberleffi e pochi inchini senza scalzare garbo ed eleganza, creando e cogliendo una nuova e mutevole struttura antropologica nazionalpopolare uscita indenne dal sessantotto e dai successivi e non meno disturbanti anni del riflusso. Il Bagaglino rappresenta l’evoluzione del costume politico, sociale e valoriale del territorio nostrano, comicità colorata, apparentemente gretta ma densa di significato al di sotto della superficie, ovvero sincronizzata con i sussulti dell’attualità.
In parallelo all’evoluzione artistica, scopre la via della mistica, riscoprendo il legame con la tradizione spirituale e religiosa, al punto che scriverà libri e diffonderà con vigore e fervore i passi del cammino spirituale nuovamente intrapreso.
“Dopo una lunga fatica, è cominciato ad arrivare il successo che è stato sempre crescente. Durante il primo periodo di successo, mi sono un po’ allontanato, non in quanto non l’avessi dentro, ma è come se non avessi tempo da dedicargli: non andavo a messa e non seguivo le cose che adesso nella mia vita sono sostanziali. Poi verso i 41 anni, lo Spirito mi si è prepotentemente presentato, e da quel momento è iniziata la parte migliore di me”.
Il legame con il sacro sembra ormai inscindibile, la risata propaga la luce sull’arte. Non è però una risata dissacrante ma un ironico soffio vitale che ribalta i canoni del conforme, dell’utile e del buono per dispiegare l’orizzonte sulle vele autentiche dell’inesplorato.
Pippo Franco o Francesco Pippo ondeggia in tutto questo e trova il punto di equilibrio nel proporre e diffondere la scintilla positiva ed evolutiva dell’arte, intesa come contatto con l’essenza.
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