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Home Cultura

Ritratti. Enzo Aprea, l’ansia indomita per la libertà

Un ritratto del giornalista (istriano-campano) e della sua lotta contro le barriere culturali

by Stefano Sacchetti
13 Febbraio 2021
in Cultura, Ritratti non conformi
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Enzo Aprea

Come se ne mancasse sempre un pezzo. La bibliografia di Enzo Aprea è incompleta. Ha macinato parole, fatti, emozioni e pensieri. Li ha decostruiti, tradotti e trasportati su carta o voce quando faceva il cronista in Rai.  Mai troppo ricordato, di questo giornalista di razza rimangono poche opere.

<<Ho visto il futuro/

trapassarmi le carni/

e mille rivoluzioni frantumarmi le ossa e i sogni

 /Resta un amore>>[1]

Scriveva anche così, Enzo Aprea. Sintesi, intimismo e senso del sociale. Il sociale, quello vero, in grado di superare le barriere.

Enzo Aprea è sicuramente un’importante firma del giornalismo italiano, televisivo e della carta stampata.

Provocatorio, puntuale, mai domo nonostante dall’età di 46 anni fosse costretto a muoversi in sedia a rotelle, aiutato da moncherini alle braccia e alle gambe. Allergico alla retorica ma consapevole della potenza del linguaggio, diceva:

<< (…) “Handicap” fino a 10 anni fa, alla radio, in televisione, per l’informazione professionista era come dire la parola “casino”, suscitava lo stesso moto d’insofferenza; e nella nostra società “corrente” (…)>>.[2]

È la fine degli anni ottanta, un decennio rampante e denso di cambiamenti. Pop ed estroverso. Attivo e vitalistico.

Chi parla è Enzo Aprea. Parla di disabilità, la domanda ficcante del giornalista non conosce remore ed altrettanto franca è la risposta. Le questioni relative alla disabilità sono state sdoganate, dal punto di vista massmediatico, proprio in quegli anni, complice anche la presenza di diversi attivisti sui canali televisivi (non da ultima quella di Antonio Guidi nei programmi della Tv generalista, grazie a quell’istrione che era il mai troppo compianto Gianfranco Funari). Ne parla con sincerità e disincanto, Enzo Aprea, che si ritrova a vivere la pesantezza di un impedimento fisico (giusto per traslitterare la dicitura normativa della Convenzione Onu) da ormai una quindicina d’anni e ne parla con cognizione di causa. Aprea vive nell’attivismo più fervente fino all’età di 44 anni, quando subisce uno stop momentaneo. Il Morbo di Buerger gli causa diversi dolori, lo costringe a diverse operazioni, fino all’ultima che gli causerà l’amputazione degli arti. Uno stop momentaneo che costringe Aprea ad interrogarsi su ciò che vive sulla propria pelle nella dimensione di un dolore incorporato. Sarà un ulteriore punto di vista che gli consentirà di restringere quel focus sull’emarginazione di cui lui era già esegeta. Vive il dolore in prima persona, fino alla fine. Nonostante l’impiego di morfina, il dolore sembra non diminuire. Se lo porta fino alla fine, nel 1991. In mezzo, da un giorno fatidico degli anni Ottanta, la vita di una persona, di professione giornalista, che racconta le sfaccettature non solo della vita, ma anche della storia in tempo più che reale.

Anche attraverso la propria professione, dunque, dimostrando un talento lucido e lungimirante, Enzo Aprea è riuscito a trasformare la disabilità in una sorta di attributo del fisico, prosaicamente integrato in tutto l’essere umano. Non un limite integrale ma una caratteristica.

 

Per ragionare in maniera analogica, se si riavvolge il nastro dell’esistenza di Aprea ci si accorge che è praticamente impossibile ridurlo alla propria menomazione come spesso avviene per diverse persone con disabilità fisica, trent’anni fa si suppone in misura maggiore.

Nasce nel 1932, a Pola, nell’allora Istria ma cresce e si forma a Torre del Greco. La vocazione per la scrittura e il racconto si appaia con quella per il viaggio. Passa diverso tempo su una nave mercantile. Finita l’esperienza da marinaio, approda al giornalismo. Giornalista Rai, ha lavorato alla Bbc nei primi anni sessanta, si è trovato a Palermo per tutti gli anni settanta, con gli omicidi di mafia in corso e la scomparsa di Mauro de Mauro, di cui era amico ed estimatore. Al giornalista dedica un capitolo (“Munro”) di un libro autobiografico, Il Mestieraccio, Cronista per amore (Carlo Mancosu editore), in cui ripercorre le tappe significative della propria carriera, intrecciate ad episodi rilevanti dal punto di vista emotivo ed esistenziale. Un susseguirsi di flash ripercorsi e descritti in diretta in cui il narratore ed il racconto si fondono nell’unico materiale possibile per un giornalista di razza, dedito alla “passionaccia”: la cronaca. Una cronaca peculiare da cui riecheggia il comparto relativo all’educazione sentimentale dell’autore, il cui parere sporge, si fa partigiano e diretto. Segue il flusso degli eventi, li decompone nella struttura intrinseca, arriva dritto al cuore.

Nel 1980, quando già il Morbo di Buerger lo infastidisce oltremodo, racconta sul posto la strage di Bologna. Tempi impensabili, sensibilità profetiche. Non è il suo fisico, è oltre, come il titolo di un suo celebre testo. Ha scritto pochi libri, Enzo, tre, pubblicati nel 1990. Ha vissuto tanto, in molte forme, ha vissuto di tutto, emarginazione compresa. È infatti sua testimonianza diretta un gesto poco elegante fatto da un direttore della Rai di cui non si cita il nome in questa sede per questioni di cortesia. Oltretutto si sentiva relegato a narratore di disabilità in quanto persona con disabilità. Niente di più riduttivo e miope.

Ha dimostrato, dunque, per reazione, tramite la sua poliedrica capacità descrittiva, di mettersi in sintonia con qualunque fatto di cronaca, sfoderando le migliori arti del mestiere, osteggiando qualunque pericoloso rivolo di smodata compassione, stereotipata ignoranza e bieco pietismo. La persona è al centro non solo del racconto giornalistico ma anche del racconto della vita.

<< (…) Il dolore mi ha cambiato, l’handicap mi ha portato ad approfondire le cose e chiamiamolo solo handicap come ostacolo, non voglio sentire le parole “disabile”, o “invalido”, o, peggio ancora “portatore di handicap”; occorre abituarsi a definire l’handicappato “una persona con necessità speciali” come si usa già negli Stati Uniti — “people with special needs”, si dice —; io ho delle necessità speciali, altri ne hanno di diverso tipo; poiché il vero handicap, l’unico, vero, grande handicap è la mancanza di libertà, di libertà della mente soprattutto (…)>>.

Aprea vede la libertà non solo come un traguardo ma come l’ossigeno necessario per ottenere una vita più autentica. Vivere meglio, quotidianamente. Partendo però dalla libertà che rifugge, trascende e attraversa gli steccati della mente umana.

Bibliografia

Poesie. L’altro, 1990, edizioni Tullio Pironti

Inesauribile desiderio, 1990, edizioni Tullio Pironti

(Con Pino Bertelli) Dall’amore con rabbia e una conversazione con Enzo Aprea, 1990, edizioni Tullio Pironti

 

[1] Enzo Aprea, 1989, Dall’Amore con rabbia, Traccedizioni

[2] Ibidem

@barbadilloit

Stefano Sacchetti

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Tags: dirittidisabilitàenzo apreagiornalismostefano sacchetti

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