Tintin, il celebre giornalista esploratore nato dalla matita del belga Hergè, compie novant’anni il prossimo 10 gennaio, data che segna la prima pubblicazione, nel lontano 1929, della sua prima avventura (“Tintin nel Paese dei Soviet”) sul giornale Le Petit Vingtie’me. Un successo editoriale per Bruxelles e per il Belgio che giovedì prossimo ricorderà, con una serie di eventi e celebrazioni, questo intrepido viaggiatore che resta ancora molto popolare presso il grande pubblico e le cui storie continuano a essere riproposte e a vendere milioni di copie in tutto il mondo.
Tin Tin nel paese dei soviet
Il primo album di Fumetti “Tintin nel Paese dei Soviet” era stato riproposto a colori due anni fa e aveva venduto 300 mila copie. Un’iniziativa che farà gola ai numerosi collezionisti e fan di Tintin, affascinati dal tratto limpido e netto ideato da Hergè e dalle sue vignette pulite, senza altri segni oltre a quelli essenziali. Uno stile denominato ligne claire che ha fatto della serie un modello per la scuola franco-belga.
Tin Tin e Degrelle
Ne scriveva nel 1992 su Repubblica Loredana Lipperini, arrampicandosi sugli specchi pur di non riconoscere l’affinità elettiva tra il combattente anticomunista Leon Degrelle e il personaggio Tin Tin: “1969. Charles De Gaulle confessa ad André Malraux: “Il mio unico rivale a livello internazionale è Tintin”. Ventitré anni dopo, la frase assume risvolti meno innocenti della semplice confidenza e suona come una dichiarazione di complicità politica. Perché il processo ideologico che in Francia rischia di coinvolgere la celebre creatura di Hergé investe altri suoi illustri colleghi. Quel che si mette in discussione, cioè, non è tanto la vecchia funzione degli eroi dei fumetti, chiamati a rassicurare sull’ esistenza e la supremazia del Bene: bensì la troppo frequente identificazione del Bene con lo Stato. O, peggio, con il Potere. Così, personaggi amatissimi da intere generazioni vengono improvvisamente circondati dal sospetto, giudicati, e a volte condannati, in base a ipotetici schieramenti politici o a striscianti simpatie”. Così, in Italia, si è appena smorzata l’ eco delle discussioni sorte attorno a Tex Willer, adottato dal quotidiano Il Manifesto come simbolo della propria campagna abbonamenti “nonostante” la sua presunta collocazione a destra. Così, adesso, tocca a Tintin (e, chissà, anche al fedele cagnolino Milou), apertamente tacciato di fascismo e di connivenza con Hitler. A sostenerlo, sia pure con intenzioni lusinghiere, è un personaggio che se ne intende: Léon Degrelle, ottantacinquenne fondatore del partito fascista belga, ex ufficiale SS, condannato a morte in Francia, esiliato da quarant’ anni in Spagna e autore di duecento paginette di prossima pubblicazione presso le ultraconservatrici edizioni Ogmios. Titolo, Tintin, mon ami. Capitolo primo, Tintin da Hitler. Tesi: Degrelle e il popolarissimo reporter ideato da Hergé sono la stessa persona. Perché quando Hergé si chiamava ancora Georges Rémi, si sarebbe ispirato proprio a Degrelle, come lui ex scout, come lui in forze, nel 1929, nella redazione del quotidiano cattolico Le Vingtième Siècle. Hergé, a dire il vero, non ha mai ammesso l’ identificazione: sosteneva di aver pensato ad un Tintin giornalista semplicemente perché lavorava in un giornale. E nel disegnarlo aveva seguito le indicazioni del suo protettore e capo al Vingtième, l’ abate Norbert Wallez, che gli aveva chiesto un giovane eroe “dans l’ esprit catholique”, e con un piccolo cane come compagno di avventure. La tesi di Degrelle è respinta da molti amici di Hergé: ma c’ è anche chi rinviene tracce di antisemitismo in alcune tavole uscite durante l’ occupazione tedesca, come L’ Etoile mystérieuse, dove gli amici di Tintin provengono tutti dai paesi dell’ Asse e i nemici sono smaccatamente americani. E altri ricordano che, a Liberazione avvenuta, Hergé venne arrestato (e rilasciato dopo una notte, perché i suoi accusatori si sentivano ridicoli a tenere in carcere “il papà di Tintin”). Accuse che non colgono affatto di sorpresa Antonio Faeti, docente di storia della letteratura per l’ infanzia all’ Università di Bologna: “La discussione su Tintin – dice – è tanto datata quanto comprensibile. D’ altra parte, non vedo perché fatti rilevanti dell’ immaginario collettivo non dovrebbero avere una connotazione politica”. Allora ha ragione Degrelle? Tintin è un fumetto fascista, come scrive questa settimana L’ evenement du Jeudi? “Tintin è collocato in quella parte della destra francese non precisamente gollista, quanto di tradizioni lealiste, al tempo stesso conservatrice e liberal. Ma è anche capace di qualche graffio sociale in termini satirici: e non è certo un atteggiamento da destra-destra. Ancora, Tintin è un avventuriero, un giramondo: e non si è di destra in senso classico quando si ama l’ altrove e si valorizza la differenza”. Sarebbe dunque corretto parlare di simpatie letterarie oltre che politiche? Esistono legami con il filone dei narratori-viaggiatori francesi alla Pierre Loti? “Con notevolissime differenze, però: perché in Tintin non c’ è neanche un’ allusione all’ erotismo di Loti. Più che un avventuriero esotico, è un avventuriero borghese. Figlio, cioè, di quella borghesia retta, perbene, coraggiosa e cavalleresca. Che esiste: così come esisteva una destra storica che portava avanti dei valori apprezzabili. Hergé era il portatore di questi valori che potremmo definire di centro-destra: era un uomo virilmente dignitoso, con un forte senso delle radici. E il suo Tintin è soprattutto una creatura francese, esponente di quella ‘ costante gallica’ che arriva fino ad Asterix; ma che tocca anche Proust”. E prima? Chi sono i progenitori di Tintin? “Letterariamente, Jules Verne. Ma tra i suoi padri nascosti ci sono il perfido Jules Renard, e Restif de la Bretonne. E il Gavroche dei Miserabili”.
Il commento del professore è grottesco quanto quello della Lipperini e altri che si affannano a oscurare quello che da’ fastidio.
Grottesco è sempre l’antifascismo retorico, aprioristico, dogmatico, una damnatio memoriae che non conosce limiti, ragionevolezze, senso del ridicolo…