Un lungo saggio su la Civiltà Cattolica che sconfessa a tutto campo la cosiddetta Teologia della prosperità made in America. Scritto a quattro mani, a firmarlo addirittura il direttore della rivista dei gesuiti italiani, organo pubblicato con il placet vaticano, e il pastore presbiteriano Marcelo Figueroa. Si tratta di un testo destinato a suscitare tensioni oltreoceano e che – come ricorda giustamente Matteo Matzutzi del Foglio – fa il paio con l’uscita dello scorso anno che metteva all’indice il «sorprendente ecumenismo che mette assieme il fondamentalismo evangelicale e l’integralismo cattolico» nelle battaglie temi pro-life.
La recente uscita a firma dei padri Antonio Spadaro e Figueroa marca ancor di più il diverso sentire tra la morale cattolica e l’american Way of Life d’impronta wasp. La teologia della prosperità – recita il saggio – «è il nome più conosciuto e descrittivo di una corrente teologica neo-pentecostale evangelica. Il nucleo di questa «teologia» è la convinzione che Dio vuole che i suoi fedeli abbiano una vita prospera, e cioè che siano ricchi dal punto di vista economico, sani da quello fisico e individualmente felici. Questo tipo di cristianesimo colloca il benessere del credente al centro della preghiera, e fa del suo Creatore colui che realizza i suoi pensieri e i suoi desideri».
Una dottrina pericolosa (per la fede e non solo). «Il rischio di questa forma di antropocentrismo religioso, che mette al centro l’uomo e il suo benessere, è quello di trasformare Dio in un potere al nostro servizio, la Chiesa in un supermercato della fede, e la religione in un fenomeno utilitaristico ed eminentemente sensazionalistico e pragmatico».
Dov’è il cortocircuito teologico e politico? Nell’idea si anticipare nell’al-di-qua e in forma assolutamente materiale e intramondana, le promesse del Dio cristiano al popolo credente: «Questa immagine di prosperità e benessere, fa riferimento al cosiddetto American dream, al “sogno americano”. Non si identifica con esso, ma con una sua interpretazione riduttiva. In sé questo “sogno” è la visione di una terra e di una società intese come un luogo di opportunità aperte».
Migrazioni. «Storicamente, attraverso diversi secoli, è stata la motivazione che ha spinto molti migranti economici a lasciare la propria terra e a raggiungere gli Stati Uniti per rivendicare un posto in cui il loro lavoro avrebbe prodotto risultati irraggiungibili nel loro ”vecchio mondo».
E ancora: «La “teologia della prosperità“ prende spunto da questa visione, ma la traduce meccanicamente in termini religiosi, come se l’opulenza e il benessere fossero il vero segno della predilezione divina da “conquistare” magicamente con la fede. Questa “teologia” è stata diffusa – grazie anche a gigantesche campagne mediatiche – in tutto il mondo per decenni da movimenti e ministri evangelici, specialmente neo-carismatici».
«Questa accentuazione – spiegano Spadaro e Figueroa – è frutto di un’esegesi letteralista di alcuni testi biblici che sono utilizzati all’interno di un’ermeneutica riduzionista. Lo Spirito Santo viene limitato a un potere posto al servizio del benessere individuale. Gesù Cristo ha abbandonato il suo ruolo di Signore per trasformarsi in un debitore di ciascuna delle sue parole. Il Padre è ridotto «a una specie di fattorino cosmico (cosmic bellhop) che si occupa dei bisogni e dei desideri delle sue creature»
La povertà come maledizione. «In generale, il fatto che vi siano ricchezza o benefìci materiali ricade ancora una volta sull’esclusiva responsabilità del credente, e di conseguenza vi ricade anche la sua povertà o carenza di beni. La vittoria materiale colloca il credente in una posizione di superbia a causa della potenza della sua «fede». Al contrario, la povertà lo carica di una colpa doppiamente insopportabile: da una parte, egli considera che la sua fede non riesce a muovere le mani provvidenti di Dio; e, dall’altra, che la sua situazione miserabile è un’imposizione divina, una punizione inesorabile accettata con sottomissione».
Il monito di Papa Francesco. «La visione della fede proposta dalla teologia della prosperità è in chiara contraddizione con la concezione di un’umanità segnata dal peccato e con l’aspettativa di una salvezza escatologica, legata a Gesù Cristo come salvatore e non al successo delle proprie opere. Essa incarna dunque una forma peculiare di pelagianesimo dalla quale Francesco ha messo spesso in guardia. Egli ha scritto, infatti, nell’esortazione apostolica Gaudete et exsultate, che ci sono cristiani impegnati nel seguire la strada “della giustificazione mediante le proprie forze, quella dell’adorazione della volontà umana e della propria capacità, che si traduce in un autocompiacimento egocentrico ed elitario privo del vero amore”».